di Nasreen
Nonostante l’esperienza in ambito librario (o letterario?), che dovrebbe almeno teoricamente proteggermi dai peccati d’ingenuità dovuti alle trappole commerciali, ancora una volta sono caduta nel vecchio tranello della trama accattivante e copertina affascinante. E a nulla è servito lo scanzonato “Può accadere” che mi sono detta a fine lettura, il senso di perdita e delusione è sempre piuttosto cocente e, a oggi, si aggiunge anche l’imbarazzo per esserci cascata.
“L’arte ingannevole del gufo”, il cui titolo originale è “Night Vision”, aveva tutte le carte in regola per essere una piacevole lettura estiva ricca di suspense, ma anche di delicata sensibilizzazione nei confronti di coloro che sono affetti da una malattia come la xeroderma pigmentosa. Invece, tutto ciò che ho avuto modo di leggere, sono 155 pagine di vuoto assoluto, sia a livello di trama che di trasmissione emozionale, una tabula rasa davvero deludente.
Viola è una ragazzina di quattordici anni affetta da una mutazione genetica che impedisce al suo organismo di rigenerarsi ogni volta che è esposto ai raggi UVA, come invece avviene in tutte le persone geneticamente sane. Il sole le è in sostanza fatale, infatti, anche una minima esposizione può causarle tumori cutanei e metastasi pressoché immediate. Viola è costretta a vivere di notte e tutta la sua vita è praticamente incentrata nel non esporsi mai ai raggi UVA (lampadine al neon incluse), per sopravvivere.
La sua condizione è terribile, triste e umanamente ingiusta, eppure non scatta mai una qualsivoglia empatia nei suoi confronti. È una bambina che fa i compiti per corrispondenza, che mangia la notte - da sola - gli avanzi che sua mamma le mette da parte prima di andare a dormire, che si affida a degli occhiali per la visione notturna per poter uscire di casa nei boschi e, nonostante ciò non c’è identificazione né vera tenerezza per la sua condizione.
Viola conosce moltissime cose. Cerca e studia tutto quello che può, prendendo spunto da ciò che la circonda, sfruttando internet per saziare la sua sete di vita ma, alla fine di tutte le interminabili pagine che ci vengono propinate su opossum, allevamento e tosatura di pecore e musica classica, più che ammirazione si prova noia e stizza per uno sfoggio, non richiesto e tantomeno discreto, di inutile nozionismo. Saputella verrebbe da dire, ma non sarebbe delicato, quindi non lo pronunciamo.
Forse è lo stile dell’autrice a essere inadeguato, o forse semplicemente si recepisce con fin troppa chiarezza che quest’ultima non aveva nulla da dire e ancor meno da raccontare e che queste pagine non erano altro che una farcitura per fare “numero”. Idem per la trama, che viene definita come “una storia che lascia con il fiato sospeso”, ma che, onestamente, non ha un briciolo di pathos e ancor meno suspense.
Sembra quasi promettere bene all’inizio quando, nel bosco, Viola assiste all’omicidio e al successivo occultamento di un misterioso bottino (evidentemente dei soldi) nel sottobosco, ma questo è quanto perché, poi, il tutto si perde in una serie di eventi che lasciano il lettore con un semplice e sbigottito “Cosa?”. Le potenzialità, come già detto, c’erano e il filone thriller/azione era decisamente avviato e costruito, ma l’autrice sembra aver scelto di dare un risvolto banale e inutile alla trama nella sua interezza, preferendo concentrare la sua attenzione su inutili pagine sul taglio della coda degli agnelli, per esempio. Interessantissimo, per carità, ma ai fini del romanzo, se si desidera fare del futile nozionismo si DEVE compensare con dei risvolti investigativi significativi e scene d’azione degne di questo nome, non con qualche pennuto stecchito a mo’ di minaccia in stile mafioso (solo io ho immaginato una testa di cavallo insanguinata sul letto della povera ragazzina quando ritrova il gufo?).
Senza andare troppo oltre con gli spoilers, ci basta svelare che i genitori di Viola, in evidenti ristrettezze economiche, iniziano a ricevere, tramite buste anonime consegnate a mano (senza timbro postale, quindi), “donazioni” da 2000, 5000 e infine 10000 dollari, con il solo monito di “usarli con intelligenza”, e non si fanno due domande. Ringraziano il “benefattore” (ad averli tutti degli amici di questo calibro!), intascano il malloppo, e silenzio stampa.
Ora, non per voler essere pignoli a tutti i costi, ma se abitassi in mezzo al nulla, al limitare di un bosco tanto per dirne una, con due o tre cani che, ovviamente, non fanno le feste agli sconosciuti visto che sono stati addestrati per guidare e proteggere un gregge di pecore – che, ricordiamo, costituiscono il vero capitale economico di un allevatore, come la stessa autrice ci informa con grande sussiego – e qualcuno all’improvviso decidesse di venire di persona, di notte, a imbucare buste piene zeppe di soldi per pura bontà d’animo, per quanta fede io possa voler avere sulle buone intenzioni della popolazione umana, io qualche domanda me la farei. Senza contare, aggiungerei, che mia figlia, affetta da XP, vive di notte, è munita di un bel paio d’occhiali per la visione notturna in grado di vedere una foglia cadere oltre la montagna, e che qualche giorno prima qualcuno aveva fatto un gran falò per abbrustolire un noto trafficante di droga. Non dico che sarei in grado di ricreare un quadro chiaro dell’accaduto, ma almeno un paio di quesiti me li sarei fatti, soprattutto se subito dopo mia figlia, chiaramente un uccel di bosco da anni, si rintana in casa con un atteggiamento schivo e nervoso. Esplode una macchina che illumina mezza contea e tu, figlia mia, con un giocattolino dell’esercito americano sul nasino, mi dici candidamente di non aver visto nulla? E io ti credo anche? No, va bene, andiamo avanti.
Di conseguenza, concludendo, unendo le evidenti – almeno per me – carenze a livello di trama, l’approssimativa caratterizzazione dei personaggi (i genitori sembrano due robot messi lì perché sì, devono esserci), i deus ex machina abbastanza assurdi e lo stile impersonale e privo di carattere dell’autrice, devo ammettere che questo romanzo è stata una gran brutta delusione.
A fine lettura, onestamente rimane solo un gran quesito: qual è questa fantomatica arte ingannevole del gufo? E perché “Visione notturna” (titolo originale e per altro che centra il nocciolo del romanzo) si è trasformato in “L’arte ingannevole del gufo”, qual è il nesso? Peccato, mi aspettavo molto da questo libro.