Così afferma Gianrico Carofiglio ne La manomissione delle parole, e alla prima ho avuto una reazione che giudicherei allergica. Perché da un pezzo sono stufo di coloro che dicono sempre no, perché a forza di no si va poco avanti, perché soprattutto a forza di no prima o poi si perde anche l'occasione giusta per dire sì....
Tutto molto sensato, è vero. Ma poi in questo nostro tempo conformista e telecomandato, in questo tempo di yes men che annichilano ogni merito, ogni facoltà dell'intelligenza, è proprio vero, bisogna rimpiangere l'arte di dire no. Ed è proprio un'arte, quell'arte, che richiede coraggio e fantasia, richiede quella creatività che non si accontenta del solco tracciato.
A volte si costruisce anche con il no, dice Carofiglio. Proprio con queste due lettere che, assieme al sì, appartengono al gruppo delle parole più corte, non necessariamente più banali e piatte.
E ha ragione Carofiglio, c'è anche il modo di dire no di Bartebly lo scrivano, il personaggio di Herman Melville che alle richieste del suo datore di lavoro rispondeva Preferirei di no. Anzi, più bello in inglese: I would prefer not to.
Garbato rifiuto, affermazione di vita contro la stupidità della routine, della noia, di un lavoro che avrebbe potuto essere diverso.