L' articolo 18 dello statuto dei lavoratori è da tempo immemore uno dei punti più controversi del diritto del lavoro. Dibattiti feroci si sono susseguiti nel corso.
Ma procediamo per ordine.
Il diritto del lavoro presenta numerose deroghe alla disciplina del diritto comune per la particolare funzione sociale del rapporto di lavoro subordinato. Una di esse è la possibilità che ciascuna delle parti ha di sciogliere il contratto unilateralmente (e non per mutuo consenso come accade nel diritto comune) esercitando il c.d. diritto di recesso.
Il licenziamento costituisce il recesso del datore di lavoro, diritto potestativo e atto unilaterale recettizio. La disciplina al riguardo si è sostanzialmente modificata nel tempo alla luce della considerazione effettiva della posizione delle parti nella realtà socio-economica, addivenendo con l'avvento della Carta Costituzionale ad un generale divieto dei licenziamenti immotivati.
La disciplina codicistica ha assunto allora carattere residuale e si è ristretta sempre più l'area di esercizio del recesso c.d. "ad nutum" (nuda dichiarazione del datore di sciogliere il rapporto).
Il licenziamento è pertanto vincolato a particolari requisiti sostanziali e procedurali.
Il datore di lavoro può esercitare il diritto di recesso qualora vi siano una giusta causao ungiustificato motivo.
La giusta causa:
consiste in un gravissimo inadempimento degli obblighi contrattuali o in una qualsiasi circostanza esterna al rapporto che non consentono la prosecuzione anche temporanea dello stesso, perché ledono il rapporto fiduciario incidendo sulle aspettative di adempimento da parte del lavoratore.Il giustificato motivo:
- soggettivo si ha in seguito ad un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali che legittima il licenziamento con preavviso (pena il pagamento da parte del datore di una indennità di mancato preavviso).
- oggettivo si ha quando il licenziamento non deriva da colpa del lavoratore bensì da effettive esigenze aziendali. Caso tipico è il licenziamento per motivi economici
Il licenziamento, in presenza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo, si configura come disciplinare e presuppone l'osservanza delle disposizioni dell' art. 7 st. lav. (L. 20 maggio 1970, n. 300) in materia di preventiva affissione del codice disciplinare, contestazione dell' addebito, audizione del lavoratore in sua difesa.
Al lavoratore che avesse impugnato il licenziamento successivamente dichiarato invalido per inefficacia (intimato senza forma scritta, indicazione dei motivi), nullità (qualora fosse discriminatorio o determinato sulla base di altri motivi illeciti), annulabilità (intimato senza giusta causa o giustificato motivo), era riconosciuta una tutela reale e una obbligatoria.
La tutela reale
prevista dall' art. 18 st. lav. si applicava solo ai datori di lavoro e alle unità produttive che superavano determinate soglie occupazionali (più di 15 dipendenti) e prevedeva la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro oltre al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione.La tutela reale era applicata a tutte le aziende, a prescindere dalle soglie occupazionali, in caso di licenziamenti discriminatori.
La tutela obblogatoria
era prevista invece per le aziende che occupavano meno di 15 dipendenti e prevedeva la riassunzione del lavoratore o, a scelta del datore di lavoro, il pagamento di una penale risarcitoria ragguagliata al numero di mensilità di retribuzione variabili in base a determinati parametri.LA RIFORMA FORNERO
Con la riforma Fornero (L. 28 giugno 2012, n. 92) la situazione è cambiata radicalmente per i licenziamenti disciplinari (non per i licenziamenti discriminatori).Invariati sono i requisiti sostanziali che legittimano l'intimazione del licenziamento disciplinare (giusta causa o giustificato motivo soggettivo), diversa è la tutela accordata al lavoratore.
Per le aziende che impiegano più di 15 dipendenti, la tutela reale non prevede più, accertata l' illegittimità del licenziamento, la reintegrazione nel posto di lavoro ma il pagamento da parte del datore di una indennità risarcitoria da 12 a 24 mensilità.
La reintegrazione è prevista soltanto se viene accertata l'insussistenza del fatto o se il contratto collettivo o il codice disciplinare applicabile puniscono quel fatto con una sanzione conservativa.
Ma quando si applica la sola sanzione disciplinare conservativa? Il problema deriva dal fatto che non tutti i contratti collettivi contengono la tipizzazione delle ipotesi che danno luogo alla sanzione e non al licenziamento.
Sembra quindi che il lavoratore abbia visto venir meno quella tutela per cui tanto ha lottato in favore delle esigenze di flessibilità del lavoro. Flessibilità che dovrebbe per contro garantire al lavoratore licenziato la possibilità di reperire in tempi ragionevoli una nuova occupazione, sua unica fonte di sostentamento.
Quindi mentre il datore di lavoro rischia di perdere una collaborazione generalmente sostituibile, il lavoratore vede compromessi beni e valori di importanza fondamentale.
Tuttavia sarebbe sbagliato asserire che la riforma Fornero non funzioni....la riforma Fornero funziona!!!ma al contrario e la prova sta nei numeri!!!