Il Drago sta affilando i suoi artigli. La Cina, protagonista da trent’anni a questa parte di una crescita senza precedenti per entità ed ampiezza nella storia umana, ha visto i suoi ingenti sforzi per uscire da quella condizione di povertà ed arretratezza, sociale e tecnologica, ereditata da almeno due secoli di umiliazioni, coronati da numerosi successi nei più disparati settori dell’economia, della ricerca scientifica e della diplomazia. La Cina, conscia delle sue potenzialità, si sta muovendo per riacquistare nel gioco delle potenze un ruolo da protagonista, giustificato anche dal prestigio della sua antica civiltà e dalle necessità materiali di un’economia già ora sterminata, che è comunque solo agli inizi della sua ascesa. Il paese asiatico, insomma, sta emergendo sempre più nel mondo, presentandosi come una realtà complessa che spesso è difficile comprendere se non si tiene conto delle sue peculiarità.
Rivolto in particolare alla strategia, all’armamento e alle capacità dell’Esercito Popolare di Liberazione, le Forze Armate della Repubblica Popolare Cinese, il saggio L’artiglio del Drago del giornalista Andrea Perrone è un’interessante lettura carica nel contempo di un importante stimolo rivolto al pubblico: dobbiamo conoscere la Cina. Un messaggio, quest’ultimo, che come ricorda nella prefazione il gen. Fabio Mini «è semplice e ambizioso allo stesso tempo» ma anche strettamente necessario per comprendere il Dragone, che nel frattempo «si è liberato dal letargo» in cui l’Occidente credeva di aver ibernato per sempre il gigante asiatico, «non tanto per il miglior clima esterno, ma per la ripresa di una forza interna a lungo narcotizzata».
Quello de L’artiglio del Drago è dunque uno stimolo quanto mai necessario, che certo non può prescindere da una lettura dei fatti che tenga conto dell’immenso patrimonio di idee ed esperienze che la civiltà cinese ha tramandato ai posteri sin da tempi lontanissimi. Soltanto conoscendo l’esperienza storica della Cina è possibile comprendere a fondo una realtà che porta dentro di sé un carico di idee che affonda le sue radici in un passato più o meno recente: nei tempi remoti dell’Impero confuciano, nella dura esperienza delle umiliazioni coloniali e nella più recente vittoria del movimento comunista, culminata nell’edificazione di una nuova Cina che ha saputo assimilare e rielaborare nuovi valori, sembrando nel contempo incapace di dimenticare il suo passato per quanto ne avesse avuta l’intenzione.
Innanzitutto, se si parla di Cina, oggi, si parla necessariamente del Partito Comunista Cinese, che per legge è alla guida del paese sin dalla sua fondazione, nel 1949. Anche nella linea politica odierna del PCC, fa notare Perrone nell’introduzione citando il presidente Hu Jintao, è possibile trovare traccia di una forte continuità con i valori tradizionali: «Riprendendo dalla filosofia confuciana idee profondamente radicate nella società cinese, quali quelle di “ordine”, “benevolenza” e “giustizia sociale”, e rimarcando l’interdipendenza fra governanti e governati» Hu ha sottolineato la priorità di garantire uno sviluppo economico costante che sia però più equo nella distribuzione della ricchezza e più sostenibile nei confronti dell’ambiente, «riaffermando al tempo stesso l’indiscutibilità del Partito e la priorità dei diritti della collettività sui diritti del singolo».
Questi sono i termini del patto sociale da cui il Partito trae la legittimità della sua permanenza al potere. Ma le diseguaglianze spesso sono dure da vincere, e il malcontento resta un fattore potenzialmente letale per il regime: nonostante l’impegno concreto per ridurre la sperequazione, molte forze centrifughe minano l’autorità e la centralità del Partito. «Intanto, comunque, a garantire la continuità di potere del PCC rimangono le Forze Armate cinesi, l’Esercito Popolare di Liberazione, numericamente, e sempre più tecnologicamente, le più potenti al mondo».
D’altra parte, scorrendo il testo, si può notare che il coinvolgimento da parte della Cina delle proprie Forze Armate nei rapporti con l’estero è stato costantemente molto limitato, se anche non del tutto assente. La priorità nell’espandere la propria influenza a livello globale è stata infatti affidata preferenzialmente – ed almeno fino ad ora, esclusivamente – a una serie di mezzi indiretti come la diplomazia, gli accordi commerciali, l’elargizione di vantaggiosi prestiti ai partner uniti al serio impegno per la promozione della propria immagine: in altri termini, la priorità quasi assoluta è andata al soft power. Un approccio, questo, sicuramente mutuato dalla millenaria tradizione militare cinese, riassumibile nella massima secondo cui «il più grande condottiero è chi vince senza combattere», scelta appropriata dell’autore – tra l’altro – come esergo per l’opera.
Un approccio ai problemi della guerra, quello cinese, già per questo molto peculiare rispetto alla tradizione occidentale, che invece non ha nelle sue costanti un approccio globale e multiforme ai conflitti come quello che i cinesi hanno ereditato dai loro antichi strateghi. Preferenza per l’azione indiretta, ovviamente, non vuol dire che i cinesi trascurassero in passato e trascurino oggi l’importanza dell’azione diretta, anche se nel pensiero strategico cinese «l’uso reale della forza e, soprattutto, il combattimento frontale, vengono considerati strumenti da usare solo come ultima risorsa»: la priorità va proprio all’azione indiretta, decisiva e poco costosa, anche se poggia su metodi che «richiedono molto tempo per produrre risultati, una durata che politici e comandanti occidentali non hanno spesso a disposizione, data l’impazienza delle loro opinioni pubbliche e le pressioni dei media nelle democrazie moderne».
L’inarrestabile ascesa del Dragone, nonostante sinora sia stata accompagnata da una proiezione economica globale non associata alla forza militare, è comunque destinata a turbare gli equilibri di forza consolidati in Asia e nel Pacifico, e già si percepisce un crescendo nella tensione con l’attuale potenza globale più forte, gli Stati Uniti. Washington guarda con apprensione verso l’Asia orientale, assistendo al potenziamento dell’Esercito Popolare di Liberazione, alla progressiva acquisizione da parte delle Forze Armate cinesi di capacità operative a medio e lungo raggio, nonché ai traguardi della ricerca e dell’industria militare di Pechino, che a poco a poco sta efficacemente recuperando il divario tecnologico con gli USA. Nonostante i progressi, che variano comunque da settore a settore dell’apparato militare, un confronto a livello globale delle due Potenze è ancora impensabile.
Questo soprattutto perché «gli Stati Uniti mantengono ancora, nonostante la crisi, la leadership mondiale in campo militare, scientifico ed economico, e Pechino non può permettersi oggi un aspro confronto con Washington», ma anche perché la stessa prosperità e potenza economica cinese è ancora in fieri, in transizione da un’economia preindustriale ad un capitalismo maturo. Una transizione che – ricorda l’autore citando l’economista indiano Prem Shankar Jha – «non prevede dei cambiamenti solo di natura economica, ma profonde ristrutturazioni in campo politico e sociale».
Gli stessi investimenti nella modernizzazione dell’apparato militare, per quanto intensi e diffusi, non hanno ancora sortito l’effetto di colmare il divario tecnologico con le potenze tradizionali, e non solo quello nei confronti di Washington che di sicuro è il leader della tecnologia militare, ma neppure quello, meno evidente, nei confronti della Federazione Russa (numerosi armamenti cinesi in uso non superano neppure l’ultima tecnologia sovietica degli anni ’80), della Repubblica di Corea o del Giappone. L’industria militare cinese, imperniata su colossi di stato come la NORINCO, è cresciuta molto negli ultimi anni, e la Cina sta divenendo uno dei principali esportatori di armamenti al mondo. Tuttavia – emerge dal testo – mentre alcuni settori, ad esempio quello degli apparati missilistici, hanno raggiunto alti livelli di know-how tecnico, altri, come ad esempio quello aeronautico, stentano ancora a consolidarsi.
Per questo la Cina fa ancora molto affidamento su tecnologie militari importate dall’estero, spesso anche piuttosto obsolete e producendo su licenza sistemi d’arma o sviluppandoli nell’ambito di cooperazioni internazionali. Perrone focalizza l’attenzione in particolare su due partenariati strategici molto fruttuosi per il Dragone. Da una parte la Federazione Russa, che rimane, nonostante un calo generalizzato delle commesse, la principale fonte di approvvigionamento tecnologico per Pechino, che importa in gran parte tecnologia aeronavale, utilizzabile soprattutto in caso di un conflitto con Taiwan. Dall’altro Israele, con il quale la Cina ha sviluppato un importante rapporto di collaborazione sin dai primi tempi delle riforme economiche, e che ha portato buoni frutti nonostante le pressioni americane sull’alleato del Vicino Oriente, in particolare riguardo l’acquisizione di sistemi altamente tecnologici che per ora Pechino non può produrre da sé.
Ma qual è dunque la consistenza delle Forze Armate della Repubblica Popolare Cinese? L’Esercito Popolare di Liberazione – ricorda l’autore – è la Forza Armata più grande del mondo per numero di effettivi. Essa riunisce sotto un comando centrale, che fa capo alla Commissione Militare Centrale, e quindi direttamente al Partito Comunista, più di due milioni e mezzo di uomini divisi fra Esercito, Marina ed Aviazione, forze paramilitari e corpi speciali. Fra i reparti esistono grosse differenze in quanto ad equipaggiamento, spesso obsoleto nonostante i forti sforzi di modernizzazione, meccanizzazione ed informatizzazione che stanno interessando le forze armate. Originariamente strutturato come milizia di popolo secondo il pensiero militare marxista, l’Esercito Popolare di Liberazione ha subìto diverse riforme volte alla creazione di una forza professionale centralizzata e supportata nel contempo da unità di milizia locali. Numerosi investimenti hanno riguardato i reparti d’élite e le forze speciali di sicurezza, potenziati negli armamenti e dotati di strumenti che ne accrescono l’operatività.
La dottrina strategica di questo immenso apparato militare «è ancora influenzata dalle strategie e dalle teorie del presidente Mao Zedong, dalle esperienze maturate contro l’occupazione giapponese e dalla vittoriosa guerra civile contro il Kuomintang di Chiang Kai-shek». Anche in questo caso, quindi, è importante conoscere a fondo l’esperienza storica della Cina per comprenderne il presente. Circondata da paesi ostili o potenzialmente ostili, strettamente legati a Washington, «la Repubblica Popolare da parte sua manifesta la netta percezione di essere vittima di un accerchiamento militare»: questa condizione rappresenta per la Cina un disastro politico che potrebbe minarne drammaticamente le basi dello sviluppo. Per ora quindi la macchina da guerra del Dragone segue una strategia difensiva, volta soprattutto a dissuadere il principale rivale, gli USA. La minaccia principale, però, «non proviene dall’esterno, ma dall’interno» – spiega l’autore facendo riferimento al Libro Bianco 2008, documento sulla difesa pubblicato da Pechino – e «il Paese cresce con la nuova fiducia che nessuna minaccia contro la sua integrità nazionale e sovranità sarà tollerata».
Per impedire quindi l’accerchiamento del proprio territorio, già di per sé posto in una posizione periferica, nonché per tutelare l’accesso alle vie del commercio marittimo internazionale da e per la Cina, Pechino è andata consolidando di pari passo con la sua crescita economica il proprio apparato militare, puntando più che altro sulla capacità di dissuasione dell’avversario. E’ inevitabile comunque che la crescita e l’espansione economica portino, col tempo, ad una proiezione geopolitica più ampia dell’attuale, e per sostenerla la Cina dovrà espandere ulteriormente le proprie capacità militari. Nonostante i timori occidentali a riguardo, però, c’è da dire che «la Cina non ha bisogno di rappresentare una minaccia per conseguire i suoi scopi a breve e medio termine. Anzi, al contrario, questo potrebbe essere controproducente per essa». Nonostante la Cina ormai riconosca che «la transizione verso un mondo multipolare è irreversibile», la strategia di fondo delle proprie Forze Armate resta quella: «La Cina persegue una politica di natura difensiva e rimane fedele al principio strategico di attacco solo se attaccati».
Transizione, quella verso un mondo multipolare, che Andrea Perrone evidenzia dedicando un capitolo dell’opera all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Nata nel 2001, riunisce sei paesi con lo status di membri fissi (Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan ed Uzbekistan) e diversi altri paesi dell’area eurasiatica come osservatori. L’Organizzazione rappresenta per i paesi membri «uno spazio di cooperazione strategico-militare ed economico-commerciale» in cui la Cina svolge un ruolo da protagonista. La partecipazione della Repubblica Popolare Cinese alle principali organizzazioni internazionali, dopo tutto, è stato sempre un chiaro sintomo dell’intenzione di Pechino di inserirsi in maniera meno prepotente e più vantaggiosa possibile nelle dinamiche internazionali.
Per sottolineare l’importanza delle attività asimmetriche nell’ambito della strategia cinese, l’autore affronta infine il ruolo dell’intelligence, uno strumento fondamentale sia all’interno del paese, nel controllo della propaganda e nella prevenzione dell’attività sovversiva contro il Governo, sia all’esterno, soprattutto sotto forma di attività di guerra informatica contro terminali di istituzioni private o statali potenzialmente ostili. Lo scopo è probabilmente quello di ottenere dati importanti riguardo sistemi e tecnologie dell’avversario, nonché acquisire la capacità di neutralizzare i suoi dispositivi e le sue comunicazioni informatiche in caso di guerra. Gli USA sono particolarmente allarmati da questo tipo di attività, e ciò è dimostrato dalla messa in atto di sempre maggiori sforzi per poter arginare la propria vulnerabilità. Ciò testimonia quanto sia effettiva la capacità delle forze armate cinesi nell’operare questo tipo di offensive asimmetriche estremamente pericolose. La superiorità nella gestione dei sistemi informatici sarebbe infatti in grado di annullare molti dei vantaggi nell’ambito degli armamenti convenzionali che oggi giocano senza dubbio a favore di Washington.
Quella di Andrea Perrone è nel complesso un’opera interessante sotto molti punti di vista. In particolare, il messaggio di fondo, sebbene impegnativo per essere risolto in un lavoro tutto sommato breve, è di particolare interesse. Leggere l’attualità della Cina attraverso quelle che sono state nella storia esperienze e considerazioni ad essa peculiari è qualcosa di essenziale se si vuole comprendere appieno una società complessa come quella cinese. Oltre a ciò costituisce sicuramente un vivo stimolo per chi si interessa del paese asiatico a cercare sempre più spesso nella tradizione chiavi di lettura valide per capire i fatti odierni.
Un lettore già iniziato allo studio della civiltà cinese troverà forse proprio in questo messaggio lo stimolo più importante che l’opera possa trasmettere. Per il resto del contenuto, che ruota intorno agli impressionanti dati della macchina da guerra cinese e ne passa in rassegna l’organizzazione e gli obiettivi, evidenti o meno che siano, si addice molto bene a quelle che invece potrebbero essere le necessità del lettore meno esperto. Dati sull’entità dell’Esercito Popolare di Liberazione, sulle sue strategie, sull’organizzazione, e sui legami con il governo e il Partito Comunista, per quanto validi, spiazzeranno sicuramente un lettore meno esperto, ma non rappresentano un’assoluta novità per chi è ormai un veterano del mestiere.
Per concludere, L’artiglio del drago è un saggio ben fatto, consigliabile soprattutto a chi si affaccia per la prima volta sull’attualità cinese, ma carico di un importante stimolo di lettura anche per i “sinologi” di vecchia data. Sebbene l’analisi, tolta la premessa iniziale, sia poco approfondita e si fermi spesso a nudi dati statistici, o si dilati talvolta a considerazioni politiche piuttosto spicciole sulla natura del potere del Partito, questo è probabilmente un limite dovuto alla lunghezza del saggio, che non avrebbe certo permesso ulteriori approfondimenti. Se si è interessati ad uno sguardo d’insieme sulle forze armate cinesi al giorno d’oggi, L’artiglio del drago sarà in ogni caso uno strumento utile a tutti i lettori interessati ad approfondire le loro conoscenze sulla Repubblica Popolare Cinese.
Andrea Perrone L’ARTIGLIO DEL DRAGO. Strategia, armamento e capacità dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese
Prefazione del generale Fabio Mini
Pagine 116, Formato 14cm x 20,6cm, ISBN 9-78889736323-1, Fuoco Edizioni, Roma 2011, Prezzo: Euro 14,00
Vai al sito dell’Editore