Pretendiamo coerenza dagli artisti; ed è per questo che possiamo credere all' artista bambino.
Recentemente faceva furore, la notizia della bimba pittrice di 4 anni che dipinge "alla Pollock" sto parlando di Aelita Andre. Ovvio, e facile: anche io alla sua età, tutti noi alla sua età, anzi forse anche prima. Tutti quei disegnetti inconsapevoli e bellissimi che da grandi ci fanno un pò vergognare di noi. La bimba figlia di due pittori corrisponde le attenzioni frustrate del fallimento dei genitori. Se non altro avrà di buono che finita la frenesia mediatica, e la speculazione sulle sue opere, si potrà pagare il college - ammesso che tutto ciò possa fare bene ad una bambina.
La consapevolezza della creazione è ciò che fa dell' artista un artista, insieme naturalmente a molte altre componenti: la capacità della visione, il sogno; trasferire una visione mentale in qualcosa di fisico è sforzo, sacrificio, dedizione al lavoro. Consapevolezza, non intenzionalità. L'intenzionalità sviliscce l'opera d'arte, che perde la sua aura di mistero, e non affascina, su quale sia la giusta dose di intenzionalità nella creazione dell opera si sono riempite biblioteche. Come diceva Cezanne: "Io cerco, non so dove mi porterà questa ricerca, ma cerco"; e chi guarda deve cercare con lui. In un momento artistico come questo possiamo credere ad un tipo di arte puramente gonfiata e mediatica perchè nell artista stiamo cercando la coerenza. Molto spesso si guarda l'opera cercando un significato, sopratutto un opera contemporanea, anche per l'abitudine ad identificare il soggetto e quindi collegare significati culturali in maniera quasi automatica. Mi pare però ovvio il paradosso: nell'epoca dove abbiamo perduto il valore della contemplazione estetica fine a se stessa l'arte contemporanea ci ricorda proprio questo: che bisogna saper saper guardare, guardare e basta. Vi piace? Non vi piace? Non importa, non è questo il punto.
Rolling Stones pubblica questo mese un inchiesta riguardo de Andrè. Nel primo articolo raccoglie stralci di interviste del cantautore e cerca d trovarne una coerenza logica, politica, musicale... ma perchè? Perchè?
E poi paragoni con artisti diversi, prima si parla dell' uomo, poi dell' artista. Dovrebbe essere vietato confondere le due cose.
Diciamo che la mia riflessione è scaturita da questo: è come voler trovare il significato univoco al finale della Dolce Vita di Fellini, o magari di 8 e Mezzo. Sembra proprio una tara umana quella di voler sempre dare un significato, un interpretazione alle immagini o alle parole, o magari a dichiarazioni estemporanee di un intervista con un giornalista che infastidisce. Trovare un interpretazione unica, condivisibile e condivisa da tutti non solo non è possibile, ma è limitativo. La libertà più grande che il novecento ci ha datto è quella di poter guardare all'arte con libertà, guardate e vedeteci quello che vi pare, leggetela al vostro livello, capite quello che capite. Questo è stato il post moderno! Lo dice anche Eco. Perchè vogliamo dare coerenza all' artista? Non ce ne è bisogno, l artista è anche incoerenza, contraddizione, sparate più grandi di sè, provocazione, l'artista ha il diritto alla cazzata, ce l'ha per nascita, perchè è un artista. Se non fosse così l'arte non sarebbe lo specchio del mondo, e cos'è il mondo se non contraddizione.
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