Nau aveva deciso da tempo di vivere a Gwangju per inseguire una grande passione. Fin da quando era piccola rimaneva incantata nell’osservare il nonno mentre muoveva con maestria ed eleganza quei grandi pennelli. Riusciva a realizzare delle vere opere d’arte, soprattutto se viste dagli occhi di una bambina che non riusciva ancora a decifrare i misteriosi segni.
La Corea ha una lunga storia proveniente dalla Cina che la lega all’arte calligrafica, anche se sono rimaste poche testimonianze di scritti antichi a causa delle numerose invasioni. Ciò che oggi si sa a riguardo è stato tramandato dalle scritture buddiste e dagli epitaffi in memoria dei monaci. La calligrafia, o sŏye in coreano, fiorì durante l’Antico Chosŏn (1392-1910) quando il confucianesimo divenne la filosofia di Stato. In questo lungo periodo ogni gentiluomo che si rispettasse doveva dimostrare un’approfondita preparazione in poesia, calligrafia e pittura, arti considerate come la via per esprimere una mente pura e nobile.
Per combinare i tre talenti erano necessari solamente un pennino, una pietra per la preparazione dell’inchiostro, un pennello fatto da pelo animale e carta. Ogni calligrafo doveva essere in grado di scrivere senza fare alcun ritocco o ombreggiatura, riuscendo a mantenere la stessa distanza tra le pennellate.
Il nonno di Nau era un maestro in questo, un vero gentiluomo confuciano. Gli piaceva scrivere seduto sul pavimento di legno sotto al portico del suo hanok perché, diceva, la natura era una grande fonte di ispirazione. I fiori, dai petali talmente soffici da sembrare di velluto, le farfalle con le ali variopinte, gli stagni nelle cui acque si specchiava il cielo creando forme sempre nuove e, infine, le montagne, custodi di mille magie e segreti.
Nau decise di trasferirsi a Gwangju, città dell’arte, proprio per tramandare la tradizione della calligrafia trasformandola in professione, in modo da poterla mostrare al mondo. Stare lontana dal suo villaggio non era facile, ma ogni pennellata era dedicata alla sua terra, le cui immagini rimanevano impresse nella sua mente aiutandola a perfezionare una tecnica antica, mantenendo la sua proverbiale calma zen.