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L'artista e il riconoscimento: colloqui con Silver Silvan

Da Bruno Corino @CorinoBruno

Amedeo Modigliani
Silvan
"chiedere è obbedire lercio"

Meraviglioso, lo penso da una vita: se chiedi qualcosa, dai un potere a qualcuno; poi ci sono quelli che prendono senza chiedere, ma è un'altra storia. Sembra che sia più divertente per il proprio ego: prendere quello che ti viene naturalmente offerto fa schifo, se non bisogna sudarselo o meritarselo non vale niente. Bah. Sono nata nell'epoca sbagliata, pazienza.Sull'omaggio post mortem, direi che lo sciacallaggio è sempre utile a chi è privo di fantasia: dà argomenti, fa leva sui buoni sentimenti o sull'ineluttabile sorte esistenziale che non risparmia nessuno, volgarmente detta "mal comune, mezzo gaudio". La morte rende santi automaticamente: pensare che ha a che fare con un sacco di eventi fisiologici sgradevolissimi e ributtanti. Mi perdoni, Corino: oggi sono lugubre peggio di un'upupa. Che però è bellissima, non dimentichiamolo. Cosa vorrà dire? Ci penso, poi glielo farò sapere.

Corino
Grazie Silvan del tuo contributo...
sì, avevo notato lo stesso rituale dopo la morte di Sanguineti, all'improvviso scoprirono che era un grande poeta...
poi lo so che è inevitabile che ciò accada; più di qualcuno pensa che si diventi "grande" soltanto dopo la morte... confondendo il riconoscimento universale che la morte dell'artista può provocare (suo malgrado!) con il valore che di sé aveva in vita..
io dico, e la mia sarà scambiata per presunzione, che la consapevolezza del proprio valore (artistico) un vero artista deve averla in vita, il riconoscimento pubblico è soltanto una conferma di ciò che egli intuiva in sé... insomma un surplus.

Silvan
Corino, per quanto mi riguarda i riconoscimenti non dicono granché, anche perché possono essere dati per interesse, per piaggeria, per convenienza; ma lo ammetto, sono carezze che alleviano gli sforzi e i tentativi, magari falliti, di chi porta avanti una sua passione, vista come emanazione di se stessi e ci crede nonostante tutto.
Alla sua analisi vorrei aggiungere un altro elemento: quello della morte vista come limite definitivo alla produzione letteraria; da quel momento, infatti, l'esame critico investe il 100% di ciò che un autore ha composto e cessano le aspettative nei suoi confronti. Buona serata, Corino: è sempre un piacere commentare nel suo blog.

Corino
in un post dedicato a Saba e Colorni, riportavo queste parole del poeta, a proposito del successo di pubblico: "Allora, quasi a mo’ di consolazione, il filosofo se ne esce con un paio di frasi convenzionali, – che il successo non è la misura del valore dell’opera, ecc. –, ma Saba lo interruppe: “Non è vero. Il poeta scrive solo per il successo. Non mi venga a parlare di arte come espressione, come scopo a se stessa. La facoltà di esprimersi è, si capisce, un presupposto della poesia. Il poeta canta perché ha qualche cosa da dire: qualche cosa di diverso dagli altri, di eccezionale […] Ciò che il poeta esprime sono i suoi istinti proibiti, ciò che egli canta sono le sue colpe. E le canta per liberarsene, per confessarsi, per purificarsi. Se il pubblico gli volta le spalle queste colpe gli ricascano addosso, più tormentose di prima”.Da quando le ho letto queste parole mi hanno dato motivo di riflessione: il poeta ha bisogno di riconoscimento, in vita, d'essere ascoltato per condividere con gli altri le sue "colpe", i suoi istinti proibiti. La morte non aggiunge nulla alla sua opera, purtroppo...

Silvan
Corino, devo ricordarle che quelli che commentano la poesia non sono mai poeti? Però diventano esperti a furia di leggere e la loro esperienza è tutta lì. E interpretano in funzione di quello che ci vedono, rapportandola a quella che già conoscono, deducendo molto semplicemente: nel tormento, nei dubbi, nell'angoscia di certe poesie si riconoscono i propri, il vero riconoscimento alla fine è quello; la capacità riconosciuta di evocare un sentire comune che appartiene anche ad altri, che trascende l'esperienza del singolo. Ma l'opera letteraria è anche inventata di sana pianta ed è legata ad interessi commerciali, che hanno la meglio, attualmente, in un'epoca in cui la cultura è spesso un prodotto come un altro. Il riconoscimento attuale può essere transitorio: cosa rimarrà della produzione attuale? Guardi Moravia, per dire; lo consideravano un padreterno, ma non se ne sente parlare granché; in compenso, Pasolini è stato rivalutato nel tempo, man mano che la valutazione della sua opera veniva liberata dalle incrostazioni moralistiche e omofobiche del tempo nel quale è vissuto. Boh, la pensiamo diversamente: credo più nella valutazione personale o di un amico a cui piacciono i miei stessi libri che a quelli del critico di turno, magari pagato profumatamente per dire quel che dice. Di Bevilacqua rimarrà qualcosa? Boh, non direi: ma non sono obiettiva, non lo posso soffrire. La Sagan, per dire, che mi piaceva tanto da ragazzina? Completamente dimenticata. Eppure non si può dire che non abbia avuto riconoscimenti: effimeri, però.

Corino
condivido: ci sono varie forme di riconoscimento
- pubblico
- critico
- editoriale
- commerciale
- e così via...talvolta, l'uno contiene o rimanda all'altro...
...poi in un'epoca in cui tutto viene misurato in termini monetari, le cose si fanno più complicate; Moccia è un autore di successo, senza dubbio; commerciale? sì. Di pubblico? anche. Critico? Dubito. Cosa resterà domani di Moccia? Non lo so, probabilmente la sua opera sarà studiata come fenomeno di costume, un po' come Guido Da Verona...
rimane il fatto che l'artista ha bisogno di riconoscimento, è fondamentale al suo stesso fare arte, poi il tipo di riconoscimento dipende dal tipo di arte che fa; anche quello che dipinge delle romantiche croste ha bisogno di riconoscimento, se non altro di quello commerciale: effimero? può darsi, ma è quello che gli permette di continuare a dipingere...detto ciò, un artista con una forte vocazione andrà comunque avanti, anche senza riconoscimenti, ma con difficoltà e sempre sul punto di mollare tutto e di dare un calcio anche alla sua vocazione... poiché il fatto di non saper rinunciare al suo fare arte non vuol dire che ha rinunciato al riconoscimento.


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