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L’artista in cucina

Creato il 02 febbraio 2013 da Giulianoziveri @giulianoziveri

Ziveri Giuliano a Dortmund

Nella terra di confine tra Arte e Filosofia esiste un rifugio caldo e accogliente, in cui temporaneamente si conciliano gioco dei sensi e pensiero.
Si tratta della Cucina, a cui pure amo dedicare buona parte del mio tempo.
Alle riflessioni sul significato dell’Arte oggi e del mio lavoro in particolare, alle immagini delle mie opere, alternerò dunque interludi… allettanti al palato, anch’essi scaturiti da intuizioni e ispirazioni del momento. Ovvero, ricette di mia invenzione.
Se il rapporto tra Arte e Cucina è più immediato (il gioco dei sensi), quello tra pensiero e cibo, ovvero tra Filosofia e Cucina, potrebbe sembrare al primo impatto più lasso e sfuggente. Non è così.
Scrive Andrea Tagliapietra in “La gola del filosofo” (*):
“La cucina è un ‘sistema chiuso’, dotato di rituali e regole precise, che vanno rispettate, oppure violate, ma solo dopo esser state ben apprese (**). Queste regole e questi rituali si chiamano ricette. Le ricette sono, in cucina, ciò che per Platone, in filosofia, erano le idee, ossia modelli intellettuali, dotati di una loro forma e di una loro conoscibilità specifica. Mediante le ricette i piatti acquistano l’universalità dell’originale: sono, cioè, identificabili e riproducibili. Guardando alle ricette così come il demiurgo guarda alle idee, il cuoco può sfornare un’illimitata teoria di copie alimentari, assicurando una stabilità e una riconoscibilità dei piatti e delle portate. Fra gli appunti di Kant che precedono la stesura della ‘Critica della ragion pura’ ve n’è uno che afferma che ‘nel gusto ognuno di noi ha il modello o l’idea originale in testa’.
Ma il fondamento che cucina e filosofia hanno in comune, sin dalla più antica metafisica greca, è quello che la totalità di qualcosa non coincide con l’enumerazione delle parti che la compongono. Così come il risultato di un piatto, per esempio un timballo o un soufflé, è superiore alla semplice addizione dei suoi ingredienti, anche il tutto è superiore alla mera somma delle parti.
Se i manuali di storia della filosofia ci presentano il primo grande dilemma del pensiero occidentale consumarsi intorno al problema dell’uno e del molteplice, con la tenzone fra i cuochi-filosofi di scuola eleatica, come Parmenide, o di scuola ionica, come Eraclito, sulla questione non esiterà a schierarsi neppure la cucina comune. Ci sono, infatti, piatti pluralisti per antonomasia, come, per fare un esempio, la macedonia di frutta, la paella, il cous-cous o una buona insalata mista, mentre nella trippa, nella cassoeula, nel passato di verdura, nelle tortillas o nella frittata di cipolle, gli elementi del molteplice si fondono gli uni con gli altri, mescolando sapori ed odori in unica ed armonica sintesi. Inutile dire che in cucina come in filosofia l’Occidente ha sempre preferito la soluzione monista e la culinaria magnifica l’assimilazione, piuttosto che la separazione.”

(*) http://www.giornalediconfine.net
(**) Francesca Rigotti, “La filosofia in cucina. Piccola critica della ragion culinaria”



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