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Per sua natura, l'arte non è mai di regime. L'arte non è mai allineata. Non è politicamente corretta. Non è conformista, non è politica. Il politico non è artista, anzi è la persona più antitetica che si possa immaginare all'artista. Queste considerazioni mi vengono dopo aver letto la notizia, vero falsa che sia, della messa al bando della favola di cappuccetto Rosso da parte del ministero dell'istruzione francese. Ogni regime, più o meno democratico, più o meno dittatoriale, ha sempre cercato, fallendo, di produrre arte di propaganda. Di solito l'artista si fa compiacente al regime quando è ormai grasso e benestante ed accettato dalla buona società: in altre parole, quando non è più in grado di produrre arte. Il povero Sostakovich, il più grande dei musicisti sovietici, caduto in disgrazia presso Stalin, intitolò una composizione trionfalistica da palati semplici: "Risposta ad una giusta critica". La Pravda approvò, lui sopravvisse.
Nessun partito politico è mai riuscito a farsi scrivere un inno musicale che fosse meno che inascoltabile, e se pure la Germania nazista aveva adottato come inno la IX sinfonia di Beethoven, fu all'insaputa del Ludovico Van. Non so se abbia qualche significato il fatto che lo stesso Inno alla Gioia rappresentasse in seguito la colonna sonora per le imprese di Alex ed i suoi drughi in Arancia Meccanica, e l'inno di questa sciagurata Unione Europea. Il fascismo avrebbe in effetti potuto annoverare fra i suoi artisti il grande D'Annunzio, ma si trattava in realtà del fascismo primigenio dei sansepolcrini, un socialismo quasi all'antitesi dei crimini del regime fascista.
L'artista non è una persona per bene. Il suo compito non è acculturare, né migliorare o insegnare: la sua sola aspirazione è creare. Non c'è molta arte nei libri scolastici, e nemmeno nell'accademia. Mille volte preferirei che a mia figlia a scuola si mostrasse arte, anziché la mollezza politicamente corretta del pensiero unico. Perché l'arte non è la gente.