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L’ascesi della scrittura

Da Gabrielederitis @gabriele1948

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Sabato 9 febbraio 2013

CAMMINARSI DENTRO (454): L’ascesi della scrittura

Il suo scopo non è comunicare né convincere nessuno, bensì superare il confine tra realtà e immaginario. – MICHEL FOUCAULT

Fare della Scrittura un costume, una mentalità non vuol dire aspirare al riconoscimento riservato ai grandi scrittori o presumere di essere tali. Molti di noi hanno preso a scrivere nelle più diverse età della vita, non importa se ‘poesie’, ‘racconti’ o testi come i nostri che non rientrano in nessuno dei generi conosciuti ma soddisfano quel bisogno di ‘scrivere di sé’ che viene addirittura raccomandato in quanto ‘terapeutico’. È già sufficiente farlo essendo spinti da bisogno di chiarezza e di verità. Scrivere in pubblico, poi, è compito arduo, in quanto si esibisce l’ordito delle relazioni ‘interne’ e la trama delle relazioni ‘esterne’, finendo sempre per svelare qualche cosa di sé che viene strappato alle regioni dell’Inconfessabile. Finisce per risultare facile farlo, trovando il coraggio di pubblicare sempre, grazie a una ragione molto sottovalutata: le persone non leggono, per di più non leggono fino in fondo, ma soprattutto non si dedicano all’esercizio della lettura, con l’intento di fare della lettura stessa una pratica di vita, una disposizione ad apprendere, un esercizio spirituale, cioè una pratica di libertà. Solo tardi, quando si sia scritto molto e con qualche competenza teorica, si arriva a capire che mentre scriviamo, scopriamo la Scrittura, quell’attività spontanea e a modo suo ‘creativa’ che si fa mentre si scrive: scopriamo con stupore che è quasi qualcun altro che scrive per noi o, meglio, una sorta di automatismo interviene a guidare la mano. È stato detto autorevolmente che la Scrittura ci precede, ci istituisce come autori del testo, facendo sì che attraverso di noi si esprima la nostra Ombra, la parte nascosta, silente, il profondo, l’inconscio, il soggetto del desiderio che noi siamo.

Non abbiamo mai compreso quanto riferiscono gli scrittori a proposito della pagina bianca, che costituirebbe, in alcuni casi, motivo di grande timore! Forse perché non siamo scrittori di professione, non ci mettiamo mai di fronte alla pagina bianca non avendo già qualcosa da dire. Proprio quando ci sentiamo ‘gravidi’, prendiamo la penna per dare libero sfogo a ciò che urge, che preme in noi…
Qui ci interessa indicare una zona dell’esperienza da noi investita di un compito essenziale: l’esercizio dell’ascesi, di cui la Scrittura è parte. Ascesi non è solo purificazione, rinuncia, elevazione spirituale. Nell’atto della scrittura, la fatica che facciamo ad esprimerci fino in fondo costituisce un lavoro doloroso di espressione compiuta di sé che comporta sempre il ‘sacrificio’ di una parte di sé, di quell’Io che non ama certo mostrare il lato dell’esistenza che normalmente non appare o rischia di non essere sufficientemente rischiarato dallo sguardo altrui: la parte emersa, pur essendo visibile, o proprio per questo, sfugge ai più, che non sanno ‘leggere’ o che cercano altrove il senso della nostra ‘presenza’, rinunciando a farsi guidare dall’apparenza verso l’invisibile dell’esperienza, che costituisce l’unica realtà da conoscere, quando non si smarrisca il filo che conduce ad essa e che permette ogni volta di tornarvi di nuovo; la parte sommersa, che non è necessariamente tutta inconscia, pertiene alla regione invisibile dell’esperienza personale a cui quasi nessuno è interessato ad accedere, tranne chi ci ami di vero amore, non necessariamente una matura donna sensibile. Talvolta, una nipotina affezionata penetra più a fondo di una donna adulta ‘titolata’.
Paradossalmente, cerchiamo un pubblico che sia capace di raggiungerci là dove siamo veramente, mentre ci sforziamo di nascondere in superficie le nostre cose, depositandole proprio là dove pochi le vedranno, cioè sotto gli occhi di tutti.
Inizialmente, si cerca il proprio ‘pubblico’, si immagina che esista una schiera di lettori costanti impegnati a legare insieme quanto andiamo dicendo oggi alle ‘conclusioni’ importanti a cui giungemmo un anno fa o un mese fa. Grazie alla rilevazione quotidiana del numero degli accessi alle pagine web, alla distribuzione geografica dei ‘lettori’, ma soprattutto al tempo di permanenza sulle singole pagine, si scopre presto che quasi nessuno legge fino in fondo, considerato il tempo che richiede una lettura che infrange la prima regola raccomandata per il web, cioè la brevità. Sappiamo bene come si scrive per il web, cosa renda gradevole la lettura e cosa induca il lettore a non abbandonare la pagina. Tuttavia, a noi interessa altro. Avendo appreso a nostre spese che la scrittura non ci farà amare di più da chi ci ama già o che susciterà sentimenti analoghi in qualcun altro; che non ci metterà a contatto con nessuno, se non occasionalmente e per brevi periodi; che non farà di noi un ‘autore’ per il solo fatto di scrivere; che la scrittura di sé serve solo a noi, come la stesura del riassunto di un altro testo. Una casa editrice pubblicherebbe mai una raccolta di riassunti? Un pubblico colto ed esigente perderebbe il proprio tempo a leggere generici riassunti? Questo tipo di testo risponde ad una esigenza privata e basta. Allo stesso modo, raccontare di sé non è attività che possa interessare e intrattenere se non persone che arrivino a cogliere risonanze in sé che valgano come altrettanti echi di quanto andiamo facendo. Dunque, non c’è qua o là un testo compiuto che aspiri ad essere riconosciuto come tale. C’è solo la scrittura, il succedersi ripetuto di un esercizio di comprensione delle proprie ragioni, dei propri risultati e delle proprie sconfitte. Il valore di verità e il piacere del testo che si può ricavare dalla lettura sono assegnati ai frammenti che si rimandano tra di loro, perché di ordito si tratta, perché conta il volo della mente, trovare le parole, non creare un pubblico disposto a non abbandonarci mai.
Il vero ‘pubblico’ della nostra scrittura siamo noi stessi. Forse, noi scriviamo proprio per raggiungere quella parte di noi che non conosciamo, che ci sfugge, che straripa da tutti i lati, che non si lascia chiudere in un ‘testo’ per sempre. A noi serve poter mostrare a noi stessi il risultato di una ricerca costante di senso, perché abbiamo fame di senso, perché il nostro amor proprio e l’autostima e l’assertività e il rispetto di sé sono soltanto parole, se non sapremo dire a noi stessi i modi e le ragioni del nostro consistere qui e ora, in quest’ora buia della notte, mentre i nostri fantasmi assediano la nostra mente e non ci lasciano dormire e non ci consentono di aspettare l’alba per affacciarci a dire ancora il nostro bisogno d’amore a chi vorrà sentirlo.


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