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L’Asia plasmerà o sconvolgerà l’economia mondiale?

Creato il 03 agosto 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
L’Asia plasmerà o sconvolgerà l’economia mondiale?

I mercati emergenti plasmeranno o sconvolgeranno l’economia mondiale? L’Asia, con l’ascesa della Cina, è senza dubbio centrale in questo dibattito. Chi può dubitare del fatto che sta plasmando il mondo?

Con la Cina al centro, l’Asia in via di sviluppo ha 3,5 miliardi di persone e le rotte commerciali e gli hub di produzione più trafficati del mondo. Ha 2 miliardi di persone in età lavorativa e ne aggiungerà altri 770 milioni nei prossimi 40 anni. Il prossimo miliardo di consumatori nell’economia globale si situerà soprattutto in Asia e la classe media della regione si quintuplicherà entro il 2030, incrementando la sua spesa da circa 4 trilioni di dollari a oltre 30 trilioni – o approssimativamente il 42% della spesa dei consumatori prevista in tutto il mondo. L’Asia incide già per il 40% del PIL mondiale e per circa il 65% della crescita globale. Inoltre, sono sempre più le aziende globali che hanno la propria sede centrale in Asia. Attualmente ci sono 91 aziende asiatiche elencate sul Fortune Global 500, due terzi delle quali hanno sede in Cina. Allora, cosa c’è che non va?

La risposta è che tutto questo plasmare arriva con molte agitazioni. Tralasciando le grandi questioni geopolitiche e di potere, l’Asia avrà il suo lavoro economico e politico da fare a casa, perché indipendentemente dalla sua passata performance, il futuro successo economico non è predeterminato. C’è una forte evidenza empirica che dimostra che la maggior parte dei paesi che escono dalla povertà per diventare paesi a medio reddito rimangono bloccati in una cosiddetta trappola da medio reddito. Dal 1960, solo 13 su 101 paesi allora classificati paesi a medio reddito sono riusciti a diventare paesi ad alto reddito. Il modello economico asiatico, dunque, ha bisogno di un riavvio. Le singole economie devono risolvere i propri problemi. In Cina, i problemi sono costituiti da un’eccessiva espansione degli investimenti e del credito, e da una debole governance e da deboli istituzioni giuridiche. In India, i problemi riguardano di più l’opprimente effetto del settore pubblico su quello privato.

Per ora, i problemi economici principali dell’Asia in via di sviluppo sono il lungo letargo delle economie occidentali, che include i danni derivanti dalla crisi della zona euro e che restringe un nuovo boom del credito. Il rapporto tra credito e PIL in tutta la regione ha ormai superato il livello massimo osservato poco prima della crisi finanziaria asiatica del 1997, in gran parte grazie alla Cina. Più in generale, l’Asia in via di sviluppo avrà successo solo se sarà in grado di riequilibrare e risolvere le carenze di infrastrutture, innovazione, occupazione, salute pubblica, livelli di istruzione e ruolo delle donne nella società. Società vecchie, come quella cinese, devono sviluppare programmi per la salvaguardia del reddito e delle pensioni. Le società più giovani, come quella indiana, devono pensare in fretta alla creazione di nuovi posti di lavoro. Circa il 30% degli asiatici ha meno di 15 anni e presto avrà bisogno di posti di lavoro. Solo il 60% di giovani uomini e il 40% di giovani donne sono classificati come impiegati. Mentre circa 700 milioni di persone in Asia non hanno libero accesso all’acqua potabile, 1,9 miliardi di persone sperimentano una scarsa igiene, 100 milioni di bambini in Asia non sono iscritti alla scuola primaria e oltre 100 milioni di bambini di età inferiore a 5 anni sono sottopeso.

Questi sono problemi economici ma le soluzioni sono politiche: cioè miglioramenti della governance, del management pubblico e delle istituzioni giuridiche, dell’innovazione e della crescita di un settore privato più forte e inclusivo. Il primo ministro cinese in carica Wen Jiabao ha messo in risalto il significato delle riforme politiche, affermando che senza di esse la Cina non sarebbe stata in grado di realizzare con successo il riequilibrio economico. Qualsiasi cosa volesse dire, la Cina e le altre economie asiatiche avranno bisogno di raccogliere tale volontà politica per rafforzare o creare solide istituzione di cui ha bisogno una moderna economia ad alto reddito.
Riforme economiche di vasta portata devono essere intraprese velocemente per sostenere la forte crescita – che è la fonte della legittimità del partito comunista cinese – ed evitare un duro atterraggio nei prossimi due anni. Il riequilibrio principale riguarda la natura centrale degli investimenti nell’economia, con una spesa intorno al 50% del PIL. Ciò non può continuare senza causare un totale fallimento. La velocità con la quale gli investimenti sono cresciuti, aiutati e incoraggiati dai più bassi tassi di prestito della generazione (con tassi preferenziali per le aziende pubbliche) e da forti interessi politici personali, sta portando ad una cattiva allocazione del capitale, sta indebolendo i rendimenti degli investimenti e sta deteriorando la qualità degli asset e dei prestiti.

Ma il riequilibrio riguarda solo in parte l’economia. Per avere successo, la Cina deve essere disposta e capace di trasferire il potere e i privilegi commerciali e finanziari dalle aziende pubbliche, dalle banche di Stato, dai clan familiari e dagli apparati militari alle aziende private, alle piccole e medie imprese, alle famiglie e ai cittadini. E se non è disposta o capace di far ciò, quali potrebbero essere le probabili conseguenti agitazioni? In Cina e nell’Asia in via di sviluppo, i prossimi anni saranno pieni di promesse economiche. Ma la realizzazione dipende da un sano management economico e dalla edificazione di solide istituzioni, che riguarda la volontà politica e non previsioni economiche. Una prospettiva molto più ordinaria di quanto solitamente ipotizzata, e maggiori agitazioni, sono entrambe probabili.

(Traduzione a cura di Massimiliano Porto)


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