L’asilo bianco era un luogo dove Sabina Spielrein mise in pratica i suoi semplici quanto rivoluzionari principi pedagogici durante i terribili anni del nazismo stalinista.
Erano principi che si ispiravano all’educare nell’insegna dell’essere libero, libero di fare, libero di sperimentare, libero di scegliere, libero di scoprire tutte le diverse meraviglie della vita, non escluse quelle sessuali legate alla elementare conoscenza del corpo umano.
I suoi orientamenti di pensiero si legavano a Freud e Jung, con cui ebbe anche una travagliata relazione affettiva, legando il suo credo pedagogico all’importanza della psicanalisi.
Lei stessa ex malata, lei stessa futuro medico, lei stessa perdutamente innamorata dell’amore e della sua incommensurabile forza trasformativa.
Accanto alla psicanalisi riteneva fondamentale la capacità di curare e l’amore per la musica. Le sue lezioni erano una mescolanza di giochi, canti e poesie, dove attraverso la leggerezza si arrivava a toccare gli spiriti profondi dei comportamenti complessi.
Tra i suoi alunni ebbe il privilegio di crescere e formarsi un bambino tra i tanti con problemi di relazione, chiuso in un ostinato mutismo, che divenuto adulto e ottuagenario, all’età di ottantaquattro anni avrà modo di testimoniare al mondo civile e moderno quegli anni oscuri, quei giorni lontani, quegli indimenticabili momenti conservati nel cuore.
Sabina era una donna speciale, geniale, profondamente intelligente, e purtroppo per lei anche ebrea.
Finì fucilata dall’armata del regime in una sinagoga , insieme alle sue due figlie e a molti altri ebrei che invano avevano cercato la fuga.
Prima di venire trucidata, solo per non avere voluto abiurare al suo pensiero, nascose un suo libro pieno di sue poesie dentro gli scaffali di un inginocchiatoio, per sottrarlo alla inevitabile dispersione.
Sapeva perfettamente che il suo principio educativo sarebbe sopravvissuto al suo sacrificio.
Quello che ancora non immaginava nel momento della fine era che sarebbe stata celebrata come insegnante nei posteri, proprio e soprattutto grazie all’amore e alla riconoscenza di questo suo piccolo allievo che lei aveva saputo strappare al buio della solitudine e del silenzio.
Si chiamava Ivan Ionov la cui scena di toccante umanità è stata oscurata sui video che erano presenti sulla rete per diritti d’autore.