Amos Oz, perché oggi così poche persone sono in grado di compiere un gesto apparentemente così semplice come mettersi nei panni degli altri?
«Perché viviamo in un asilo infantile globale, in un mondo dove la gente pensa sostanzialmente a giocare, a consumare e a divertirsi. Anche i poveri subiscono il lavaggio del cervello dei gadget. In una realtà del genere non ci si mette nei panni degli altri [link]
Come curare un fanatico? Inseguire un pugno di fanatici su per le montagne dell’Afghanistan è una cosa. Lottare contro il fanatismo è un’altra. Completamente diversa. L’attuale crisi mondiale in Medio Oriente o in Israele/Palestina non discende dai valori dell’Islam. Non è da imputarsi, come dicono certi razzisti, alla mentalità araba. Assolutamente no. Ha invece a che fare con l’antica lotta fra fanatismo e pragmatismo. Fra fanatismo e pluralismo. Fra fanatismo e tolleranza.
Il fanatismo nasce molto prima dell’Islam, del cristianesimo, del giudaismo. Viene prima di qualsiasi stato, governo o sistema politico. Viene prima di qualsiasi ideologia o credo. Disgraziatamente, il fanatismo è una componente sempre presente nella natura umana, è, se così si può dire, un gene del male.
Oz, in tanti anni di attivismo in prima linea nel contesto del conflitto arabo-israeliano, non ha mai rinnegato una parola: “compromesso”.
Per risolvere il conflitto, Oz si dichiara fautore del compromesso, concetto considerato normalmente in maniera negativa, come sintomo di una mancanza di onestà e integrità morale: «Non nel mio vocabolario. Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte» [link]
Dal 2005, però, su questo aspetto non è cambiato niente. L’«asilo globale» è ancora lo stesso, come gli stessi sono i suoi ospiti, bambini troppo cresciuti pronti a screditare, additare e trovare avversari a ogni piè sospinto. Capita da una parte e dall’altra, quando si parla di Israele e Palestina. Il settarismo, a volte strisciante, si annida negli atteggiamenti e nei discorsi di tanti filoisraeliani e altrettantii filopalestinesi. Il motivo dietro a questa patologica e bipartisan ricerca dello scontro, io credo, è che il fanatismo spesso è un rifugio comodo, un luogo in cui ci si sente a proprio agio. Non c’è bisogno di Festinger per ribadire che la mente umana, per natura, cerca spesso di autoavverare le proprie certezze. E non c’è modo migliore, per dirsi “hai ragione”, di scegliere un’identità radicale e tracciare spesse linee divisorie: noi, di qui, siamo i buoni; con voi, al di là del muro, non avremo mai nulla da spartire. Che queste demarcazioni col tempo si siano fatte logore, preconcette e imbottite di pregiudizi non pare essere un problema.
Eppure, per dirla con Oz, scendere a compromessi non significa chiudere gli occhi (in questo caso davanti all’occupazione dei territori palestinesi, alle uccisioni di Israele a Gaza, ai razzi di Hamas, agli sfollamenti in Cisgiordania, alla retorica antisionista, alla retorica antipalestinese). Vuol dire, banalmente, avere a cuore la pace, quella che entrambe le fazioni di cui sopra declamano di voler perseguire e quasi nessuno, nel suo quotidiano, dimostra di volere davvero. Significa capire che un conflitto simile nasce inevitabilmente da una sedimentazione di colpe di entrambe le parti, e provare a tener conto delle une e delle altre non è solo un segnale di correttezza e purezza d’intenti: è anche l’unica via per arrivare alla verità. Intuitivamente, l’eterno scontro frontale fa bene o male alla causa mediorientale?
Christian Raimo, da filopalestinese dichiarato, ha scritto un bel pezzo in cui critica la retorica imperante in Italia su Gaza e Israele, provando ad aprire lo spazio per un confronto al di là del lancio incrociato di insulti e sfottò, e finendo inevitabilmente sotto processo sia da parte filopalestinese che da parte filoisraeliana. Io stesso, si parva licet, due settimane fa ho postato qui un commento che, negli intenti, voleva esprimere il fastidio che mi dà un approccio così polarizzato alla questione. E sono diventato amico dei sionisti per i filopalestinesi più irriducibili, sodale di Hamas per i filoisraeliani senza macchia. Non puoi essere che sulla riva del fiume sbagliata, se davanti a te hai chi è abituato a dividere il mondo in modo netto, senza tornare indietro o ammettere un minimo errore di parallasse. Se non ti schieri sei schierato con quegli altri. L’unica speranza, per tutti, è che prima o poi l’asilo infantile chiuda e il fanatismo di cui ha parlato Oz smetta di generare il male.