Magazine Diario personale

L’aspetto delle aspettative

Da Davide

Ogni volta lo capisco, lo riconosco, cerco di ricordarmelo e ogni volta ci ricasco. Ogni volta che non ci presto attenzione ecco che dentro di me la struttura prende corpo, la struttura delle mie convinzioni mentali, delle mie credenze, il labirinto dei miei giudizi e pregiudizi e io cado nella trappola delle aspettative.

Un’aspettativa è farsi un’immagine di come una cosa sarà. Certo che non solo è sensato farsi delle aspettative e alle volte è doveroso, non sto parlando di quell’aspettativa che prelude ad un esito ottimale di un determinato progetto.

Parlo del pensare di sapere come deve andare una cosa, parlo di quel seguire l’immagine mentale che noi ci siamo fatti su una determinata situazione la quale, nel momento in cui l’esperienza non verifica in maniera puntuale quel modellino psichico, ci causa degli scompensi. Almeno a me capita così: mi capita che mi dimentico di ricordarmi di non farmi aspettative e queste pian piano prendono (e pretendono) posto dentro di me, si insinuano subdolamente e offuscano la chiara percezione di ciò che sento/vedo/percepisco, si sostituiscono a questo e creano una realtà parallela che si gioca non a partire dal qui ed ora, ma a partire dal “once upon a time in a galaxy far, far away” (tanto tempo fa in una galassia lontana, lontana). La galassia della personalità (o corazza) che si è costituita nel tempo attorno alle mie ferite.

E ogni volta mi struggo e mi distruggo nell’incapacità di stare dietro a ciò che si squaderna di fronte ai miei occhi, mi giro dall’altra parte e dico che no, che non avrebbe dovuto andare così, che è tutto sbagliato, che non va bene. E non mi accorgo che l’unica cosa a non andare bene sono le mie aspettative, ma alla fine neanche quelle, è il mio attaccamento alle mie aspettative che mi logora e mi rovina, è il fatto che penso che solo se le mie aspettative sono rispettate allora vuol dire che le cose sono ok, altrimenti è un disastro, c’è qualcosa che non va…

E come ne esco? Da qualche parte, dentro o fuori di me, c’è un luogo di silenzio, difficile da sentire in tutto il baccano che fa la mia testa, ma c’è: magari è la parola giusta al momento giusto di qualcuno di cui mi fido, magari è una sensazione dolce che affiora, magari la quiete alla fine della tempesta, dopo che tutto lo struggimento è passato. Un silenzio che mormora: lascia che sia, molla la presa, lasciati andare, fidati e non avere paura.


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