Faccio subito una premessa: quanto sto per dire non vuole avere nessuna valenza politica, non è pro o contro nessuno, sono solo considerazioni che mi sono venute spontanee dopo il recente episodio di cui tutti i media hanno parlato.
Israele ha commesso sicuramente un’evidente violazione del diritto internazionale attaccando in acque internazionali, a 75 miglia dalla costa israeliana, e dal punto di vista politico, per lo Stato ebraico l’arrembaggio alla “Freedom Flotilla” rappresenta sicuramente un danno d’immagine potenzialmente catastrofico, un’operazione mediocre nella quale il calcolo del male minore ha offuscato la reale entità della minaccia. Pensando alle due possibili alternative, Gerusalemme avrebbe potuto lasciar forzare il blocco navale o fermare la flotta: nel primo caso avrebbe certamente reso insignificanti le intimidazioni fatte fino ad oggi, dando un segnale di debolezza in una regione dove i deboli hanno quasi sempre la peggio. Bloccare il convoglio avrebbe altresì aperto una crisi diplomatica con la Turchia e con i Paesi Arabi moderati che comunque si sarebbe risolta nell’arco di qualche mese, un po’ come accaduto per il blitz di Dubai, dove un commando di 11 agenti israeliani ha ucciso il dirigente di Hamas, Mahmoud al-Mabhouh, utilizzando passaporti falsi australiani, britannici, irlandesi e tedeschi di persone residenti in Israele. La cosa che stupisce è che sia andata come è andata, cioè con un pesante tributo di sangue.
In un artico pubblicata sul Washington Post l’ex agente dei servizi segreti israeliani, Victor Ostrovsky, parla di operazione “tanto stupida quanto stupefacente”. L’ex spia, in forza al Mossad dal 1982 al 1990, ritiene Flotilla 13 (traduzione inglese del Shayetet 13) un reparto fantastico, una delle migliori unità israeliane che di norma pianifica tutte le fasi delle operazioni anti-pirateria nelle quali è coinvolta con un precisione quasi maniacale e che riesce a riprendere il controllo delle navi sequestrate nell’arco di pochi minuti. Dal punto di vista intelligence, Ostrovsky ritiene che il Mossad fosse in possesso di tutte informazioni necessarie a disegnare un profilo dettagliato dei passeggeri e dell’equipaggio che componeva il convoglio, così come era certamente riuscito ad infiltrare suoi agenti a bordo delle navi, in modo da avere un aggiornamento della situazione in tempo reale ed aveva monitorato tutte le fasi dell’imbarco avvenute a Cipro. E’ difficile quindi pensare che ci potessero essere state lacune nella raccolta delle informazioni, nella preparazione e nell’aggiornamento della missione; il problema sarebbe quindi scaturito da un’errata valutazione della minaccia e da pressioni esterne che avrebbero forzato i tempi e i modi dell’attacco. Pressioni politiche che sarebbero potute arrivare da Gerusalemme: dal premier Netanyahu o dal suo ministro degli esteri, l’ultra conservatore Avigdor Lieberman. Calarsi sulla coperta di una nave dopo aver attirato l’attenzione delle persone presenti a bordo con il frastuono degli elicotteri e cercare di fermare la flotta in acque internazionali non rappresenta certo la migliore delle soluzioni, sapendo soprattutto che sul ponte i militari avrebbero trovato un nutrito gruppo di persone non affini a questo tipo di situazioni e giornalisti pronti a riprendere e raccontare l’assalto. Un altro sbaglio è stato quello di voler assumere innanzitutto il controllo del ponte di coperta anziché arrembare la poppa e la prua per poi convergere verso il centro. Errori inspiegabili per lo Shayetet 13, che in alternativa avrebbe potuto tentare la carta della sorpresa e con l’utilizzo dei mini-sommergibili, una volta arrivate in acque territoriali, fermare la nave danneggiando le eliche di propulsione oppure bastava tirare un arpione collegato ad un cavo nelle eliche, o effettuare qualche altra manovra di interdizione che non avrebbe provocato nessun contatto diretto con i passeggeri e poi rimorchiare la nave in porto. Ma qualcuno a Gerusalemme ha deciso per l’azione spettacolare e qualcuno, a bordo della nave, ha perso la testa.
Dall’altra parte, io nella mia “ingenuità” quando sento la parola pacifista , penso a Gandhi e alla non violenza, ma questi “pacifisti”, chi sono? Sinceramente non lo so, immagino che siano per lo più persone commosse dal destino dei palestinesi e affezionate alla pace ma evidentemente mi sbaglio, infatti fra i promotori non mancavano militanti estremisti, unilaterali nel sostegno alla causa palestinese e simpatizzanti per Hamas, che non vuol dire esattamente stare coi palestinesi. Hanno subito l’ assalto israeliano, ma non hanno ragione. Stanno contro Israele e la sua esistenza – e magari contro il fantasma ebraico – non contro una politica. La giornalista Angela Lano ha raccontato la sua vicissitudine: “Ci siamo preparati. Abbiamo studiato le tecniche di resistenza non violenta.. ” .. davvero? Cosa ci facevate allora con coltelli , sciabole, spranghe di ferro e molotov??!?!? Con tutto il rispetto per chi ha perso la vita, ma a mio modo di vedere , se per una causa (giusta o sbagliata che sia) sei disposto a combattere, allora non sei un pacifista ma un soldato, e come tale devi mettere in conto le possibili conseguenze. I primi video mostrati erano solo quelli degli attivisti della nave che ovviamente riportavano il loro punto di vista. Poi è stata la volta di quelli israeliani che ovviamente mostravano l’altro punto di vista. Le tecniche di ripresa e montaggio , lo sappiamo, fanno miracoli. Così come è successo per il G8 di Genova, se guardavi solo una serie di video ti indignavi con la polizia, mentre se guardavi i filmati delle forze dell’ordine , ti imbestialivi contro i manifestanti. La cosa sconcertante è l’informazione capziosa e di parte dei nostri media che, conoscendo benissimo le tecniche di comunicazione le hanno usate non per fare informazione ma per portare la gente da una parte o dall’altra. Lo so l’informazione libera e super partes è un’utopia, ma le forzature come le foto di questo articolo (ritoccate!) mi fanno davvero incazzare!