Paolo Gabriele with Pope Benedict XVI
Da quando lo beccarono con la pistola fumante a casa sua, a quando si è concluso il processo contro Paolo Gabriele, il maggiordomo di Benedetto XVI accusato di avere sottratto dei documenti dalle pie camere di sua santità, c’è stato l’arco di un baleno. Un soffio di vento che forse aleggiava per i sacri ambulacri da tempo. Se mi fossi trovato al suo posto, sinceramente avrei provato l’ebbrezza della vertigine. Non per i segni improvvisi di efficienza giudiziaria, o per il tempestivo allarme e scandalo di un gesto giudicato come brutto e incivile, ma per l’eccezionalità del fatto. Forse unico nella storia dello spionaggio vaticano, nonostante l’apparato elefantiaco della sacra Intelligence, imponente ed universale. Altro che Assange. Il fondatore di Wikileaks si sarebbe dovuto andare a nascondere per le minuzie delle sue gesta. Sconvenienti per gli Stati e per certi signori.
Mettere a disposizione dell’umanità le informazioni del potere, una volta che il povero genere umano possa venirne in possesso, non è certo cosa da poco. Ma è niente rispetto alla possibilità che un comune mortale acceda a informazioni sulle segrete stanze del Vaticano, che contengono oltre quattro secoli di carte private, su cui solo il pontefice è preposto a stabilire se un po’ di luce può essere fatta negli arcana del divino secretum. Non parliamo poi delle cose dell’Inquisizione.
Maggiordomo
Comunque, al maggiordomo del papa era data la indiretta e indotta possibilità di accedere a documenti che poteva tranquillamente portare a casa sua. Per riprodurli? Non crediamo. Per leggerli? Possibile. Si sa la curiosità, specie nel mondo in cui i confessionali abbondano, è cosa molto diffusa, e visto che il povero Gabriele, dal suo incauto gesto, ha tratto solo rogne, mentre nessun altro ha pagato, mandante o suggeritore che fosse, c’è da ritenere che dietro il suo reato ci possa essere qualcosa di più di quanto non appaia a prima vista.
Sta di fatto che tutti hanno avuto una gran voglia di chiudere una partita un po’ oscura. Se si vuole anche comica, considerato che una solerzia simile la Chiesa non l’ebbe neanche quando il cardinale Marcinkus fece il bello e il cattivo tempo con i soldi dell’Istituto delle Opere Religiose, di cui era presidente e con le banche controllate più o meno direttamente dal Vaticano, essendo coinvolto nello scandolo del crack del Banco Ambrosiano, con una serie di morti eccellenti che vi ruotarono attorno. Da Calvi a Sindona. O, per andare ai nostri giorni, quando si documentano le accuse, ben più scandalose di quelle del Gabriele, con don Verzè e il San Raffaele di Milano, i suoi servizi segreti privati, le sue fazende e i suoi jet diretti in mezzo mondo. Fatti compiuti in nome di Cristo e della Santa Romana Chiesa.
Un anno e sei mesi di reclusione, ci permettiamo di dire, sono un’eternità, per un tipo acqua e sapone come Gabriele, a fronte dei delinquenti che la Chiesa ha avuto nel suo passato e su cui è meglio non rivangare, tanto noti sono stati sempre i fatti.
E una spiegazione c’è a tanto laissez-faire. Come scrive Alessandro Speciale su www.lastampa.it c’è una differenza tra il sistema giudiziario italiano e quello vaticano. In quest’ultimo il dibattimento non è orientato dall’accusa e dalla difesa, ma da tre giudici coordinati da un presidente.
In soldoni la prova per la giustizia di Dio non si forma nel dibattimento, come avviene nei sistemi democratici. Ma è data dall’alto, per calata diretta. Sono i giudici a interrogare gli imputati (nel nostro caso Gabriele e il tecnico informatico della Segreteria di Stato, Claudio Sciarpelletti).
Che possiamo dire? Si vede che il sacro collegio giudicante non ha ritenuto in passato di esaminare molti personaggi, cardinali o preti che fossero, accusati dalla pubblica opinione di reati più o meno gravi. Esercitava forse il perdono preventivo. E come farebbe oggi a negarlo al maggiordomo, specialmente dopo una reale condanna a una pena detentiva?
Ecco quello che mi dà più fastidio in tutta questa vicenda delle carte riservate del papa. Che ci siano dei campi inaccessibili ai comuni mortali. Che manchi, la necessaria trasparenza. Vi immaginate Cristo con dei segreti personali che non avesse voluto svelare nel Nuovo Testamento?
Giuseppe Casarrubea