L'assessore scalognato

Da Gabriele Damiani
I politicanti ne combinano talmente tante che fanno ormai tenerezza. Sono a volte così patetici che un sentimento robusto come la rabbia nemmeno lo meritano più. Per loro possiamo al massimo provare pena, addolcita da un pizzico d’ironia.Sentite questa e ditemi se non ho ragione.I personaggi principali della simpatica vicenda sono due, un assessore regionale alla cultura e la sua segretaria, finiti entrambi agli arresti domiciliari per una faccenduola di mazzette.L’assessore avrebbe avuto l’intenzione di riscuotere da un operatore culturale parte di un contributo regionale stanziato per le celebrazioni in onore di un famoso vate. Il presunto concusso ha però preferito denunciare l’assessore, portando come prova una registrazione audio effettuata con il suo cellulare d’ultima generazione mentre colloquiava con il politicante.L’audio, da chiunque udibile in rete, contiene richieste e suggerimenti rivolti dal presunto concussore al presunto concusso. Quest’ultimo, in sostanza, avrebbe dovuto gonfiare l’ammontare del contributo regionale destinato a celebrare il vate ed elargirne, dopo l’incasso, un tot all’assessore.Successivamente la segretaria del politicante avrebbe telefonato più volte all’operatore culturale, sollecitandolo a saldare il ‘‘credito’’ che l’assessore vantava nei suoi confronti.Una situazione molto poetica, non c’è che dire. Ma queste sono soltanto le prime rime del poema. Le strofe più ridicole sono state scritte dopo gli arresti della donna e del suo ex capo, divenuto infatti subito ex per effetto delle immediate dimissioni dalla carica.
Ad arresti avvenuti, e trascorso un lasso di tempo ragionevolemente breve, sui giornali finisce la fotostatica di un contratto ritrovato nell’abitazione della segretaria, per l’esattezza dentro il secchio dell’immondizia e ridotto ormai in mille pezzi.I contraenti, guarda caso proprio l’assessore e la segretaria, vi stipulavano un preciso e regolare rapporto di meretricio, consistente in quattro prestazioni al mese per la modica cifra di tremila euro mensili.La segretaria, sposata e madre di una bimba, e che fra l’altro deve l’assunzione in regione all’assessore, dichiara intanto di appartenere a un partito politico diametralmente opposto a quello nel quale milita l’uomo. Costui è infatti esponente di un movimento politico creato da un noto femminista, mentre lei aderisce a un partito nato dalla fusione di rottami comunisti e democristiani.Il gerarca locale del partito dei rottami, appurate le improvvide, almeno secondo lui, esternazioni ideologiche della donna, emette a velocità supersonica un comunicato nel quale rende a tutti noto che lei da tempo non ha più la tessera. Insomma, rottami sì, ma qualche altra cosa no.In verità, le prese di distanza del gerarca si sono rivelate superflue, perché si viene in breve a sapere che nel fascicolo del procedimento penale quel contratto non figura. Dunque, prove alla mano, la segretaria non è mai stata quello che i maligni avevano supposto.La donna, in compenso, non ha mancato di riferire agli inquirenti che l’assessore voleva avvelenare la moglie. A carico dell’indagato è stato dunque avviata una nuova indagine. Nel frattempo rimane agli arresti domiciliari, cioè rinchiuso in casa insieme alla legittima consorte, nonché presunta vittima di un presunto vagheggiato omicidio. La segretaria ha invece ottenuto la revoca delle misure cautelari.
Una catena di Sant’Antonio di paradossi tanto esilaranti poteva verificarsi solo nella repubblichina delle macchiette, cioè l’Italia. Non poche risate sono scappate anche a me, lo confesso. Ma al divertimento iniziale ha fatto seguito lo sconcerto e la compassione.Ho compassione per quel politicante, ignara vittima di se stesso, che non ha più nessun santo al quale votarsi. Non di certo potrà rivolgersi a San Valentino, sarebbe quanto meno poco opportuno. Né gli sarà utile pregare Barabba, che santo non è.Mi dispiace per lui. Per lui, non per gli altri interpreti della farsa.

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