Gli atei ed i razionalisti affermano che il male non esiste. Hanno perfettamente ragione, se si analizza la realtà solo attraverso strumenti razionali. E’ singolare che gli spiritualisti ed i materialisti, pur agli antipodi, concordino su tale punto, adducendo diverse motivazioni: il mysterium iniquitatis non sussiste. Logici e matematici pensano che il mondo possa essere compreso per mezzo della logica. Essa dimostra che il male non è nelle cose, ma nelle interpretazioni. Peccato che l’universo non sia logico, essendo autocontraddittorio.
Certo, il bene ed il male sono categorie umane, valori che gli uomini attribuiscono agli enti. La Natura di per sé non è (o pare?) né malvagia né benevola: essa è quella che è. Siamo noi a vedere in un terremoto il male e in un tramonto dai colori rutilanti il bene. Il ghepardo che caccia e divora la gazzella non è malvagio: è nella sua natura predare degli erbivori di cui si ciba.
Tuttavia il male ed il bene non risiedono tanto in un’esegesi antropocentrica e negli influssi deleteri o benefici che gli eventi esercitano su ognuno di noi. Il male è anche nella mancanza di senso, nell’irrazionalità dell’essere. Qual è lo scopo di tutto questo? Che fine hanno il cosmo, l’esistenza, il dolore? La domanda metafisica per miscredenti e scienziati razionalisti è priva di significato. Essi si richiamano a tutti quei filosofi antichi e moderni che hanno constatato la verità effettuale, ponendo dinanzi all’uomo lo spettacolo di un universo la cui unica giustificazione è nell’assenza di ogni giustificazione.
Spesso gli irreligiosi celebrano Lucrezio che nel “De rerum natura” distrugge le illusioni umane: la chimera dell’immortalità, della Provvidenza, di un premio per i giusti e di una punizione per i reprobi... La Natura è indifferente alla condizione delle sue creature, siano piante, animali, uomini. I cicli cosmici sono una perenne aggregazione e disgregazione di atomi. Dopo la morte si sprofonda nel nulla, lo stesso nulla da cui si proviene.
Eppure Lucrezio sembra a tratti ribellarsi a questa raggelante visione o, meglio, denunciarne l’assurda razionalità. Se il poema si apre con l’inno a Venere, immagine della vita e dell’energia, si conclude con la drammatica descrizione della “pestilenza” che dilagò ad Atene durante la prima fase della Guerra del Peloponneso. La morte e la distruzione paiono abitare nel cuore dell’universo, essere il sigillo di una realtà votata all’insignificanza, al disfacimento.
E’ appunto nella gratuità, nel gioco assurdo del caso che si incarna il male. E’ veramente così? Non lo sappiamo. E’ indubbio che spesso così ci sembra. Per questo motivo il poeta e romanziere Marino Moretti può suggellare una sua accorata e bellissima lirica con il verso: “Così parve la vita, senza scopo”.
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