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Il cinema è sempre andato matto per gli ossimori ( l'effetto illusorio del movimento ne è alla base d'altronde). Il più recente di questi è il non-sense laconico e esilarante di "Kill me please" che insegna non solo come ridere della morte ma anche della vita stessa.
Non c'è più spazio per un dottor Morte. Ma c'è spazio per la Marsigliese.
E' dal Belgio che la commedia nera (ri)esplora i territori un tempo Svedesi e esistenzialisti dell'austero Bergman. Ma lo fa a suon di pallottole, con uno stile stilizzato e folle, che non ha paura dell'anarchia e dell'eccesso, che si concede con vigore, potenza e ironia di cattivo gusto.
Ciò che contraddistingue questo piccolo (grande) film è l'autenticità dell'assurdo, è Samuel Beckett che gioca ad armi pare con la morte. Siamo negli esilaranti territori della commedia grottesca , protagonista una clinica in cui i pazienti sono aspiranti suicidi medicalmente assistiti. Il dottor Kruger è, prima di tutto, un'umanista, un individuo che ha il potere di tessere i fili della vita e inquadrare, dominare la morte, dando la possibilità al paziente di un ultimo desiderio prima dell'atto finale.
Commedia figlia di una tesi, quella che vede nell'esilarante l'essenza del macabro, e viceversa.
Straordinaria è la messa in scena, nella prima parte, di uno dei temi teorici di sapor Baziniano che riflette sull'essenza stessa del cinema: l'istante qualitativo.
Il desiderio di uno dei pazienti è quello di morire facendo l'amore. Eccoci qui: orgasmo e morte convergono all'interno della stessa immagine. Oltre mezzo secolo fa Andrè Bazin, padre fondatore della nouvelle vague francese, scriveva parole meravigliose riguardo all'atto sessuale e alla morte: "L'uno e l'altro sono alla loro maniera la negazione assoluta del tempo oggettivo: l'istante qualitativo allo stato puro". Questi due unici istanti qualitativi convivono nella medesima stanza e nel medesimo (a)tempo all'interno della medesima immagine, che riesce comunque ad essere leggera e briosa, non cadendo in quell'ostentazione pregna di apparati teorici che l'avrebbe resa pedante e didascalica. Non è un caso che in francese orgasmo si dica " Petit meurt". Continuava Bazin: "Come la morte, l'amore si vive e non si rappresenta o almeno non lo si rappresenta senza violazione della sua natura. Questa violazione si chiama oscenità". Applichiamo dunque la definizione baziniana di oscenità alla struttura del film di Olias Barco: non solo le due oscenità, morale e metafisica, vengono riprodotte nello stesso istante, ma vengono immerse in un clima di totale normalità e leggerezza.
L'osceno baziniano inserito in un'orizzonte di normalità non può che creare l'assurdo, che qui si declina una vera e propria legittimazione dell'oscenità. Ma siamo solo all'inizio. All'interno dell'ossimoro numero uno, l'assurdo normale, succede che, nel secondo tempo del film, ci sia una straordinaria virata che porta all'autentico non-sense - ennesimo ossimoro dell'assurdo. Dunque la tesi di Barco è straordinariamente matematica e paradossalmente logica, e la formula si articola in due fasi:
FASE 1: Osceno + Normalità: Assurdo.
FASE 2: Assurdo + Legittimazione dell'oscenità: Non-Sense.
Immagini-pensiero in caduta libera.
E' una pioggia " Kill me please", una pioggia di bianchi e di neri, di morte e - soprattutto - di vita. Nel mondo dell'assurdo i mariti perdono le mogli a poker e si fa a gara a morir per primi. Ma l'assurdo siamo noi.Proprio per questo è normale.
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