Ieri, 23 novembre, giornata di consultazioni elettorali in una parte d’Italia e in Tunisia.
Realtà e contesti ovviamente non paragonabili; è interessante tuttavia confrontare dei dati, ragionare e riflettere proprio su questi.
Italia: elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria; affluenza media 40%, con un 37,67% e un 44,10% degli aventi diritto rispettivamente nella prima e nella seconda.
Tunisia: un mese dopo il voto per la formazione del Parlamento, ieri le elezioni per il Presidente della Repubblica, le prime a suffragio universale in questo paese dopo la fine del regime di Ben Ali e sotto la nuova Costituzione approvata nel gennaio scorso. Il 64,60% si è recato alle urne (dato definitivo; fonte: conferenza stampa di Chafik Sarsar, presidente della Commissione Superiore Indipendente per le elezioni).
Non intendo addentrarmi in analisi politiche: la vittoria del Pd nelle due regioni italiane; l’importanza della giornata tunisina vista come una nuova tappa nel cammino di transizione verso la democrazia, iniziato dopo la Rivoluzione dei Gelsomini; la reale concretizzazione di questo progetto.
Agli esperti questo compito.
Mi colpisce profondamente la differenza nelle percentuali dell’affluenza che, a mio avviso, è un segnale del diverso approccio al concetto di partecipazione alla vita democratica.
La Tunisia è una repubblica che deve ricostruire se stessa, consolidare conquiste già avvenute e combattere dall’interno la spinta islamica estremista che è ancora consistente. Il governo tunisino ne è talmente consapevole che, ieri, il sistema di sicurezza antiterrorismo, organizzato anche attorno alle moschee, era imponente.
Ho contatti frequenti con questo paese; conosco l’energia e la capacità di molte persone, soprattutto donne, che credono davvero nella possibilità di fare crescere una nazione autenticamente laica e democratica. In parte, là, si vedono già i primi tangibili risultati. Non senza fatica, non senza problemi, ma forse è proprio questo desiderio di farcela che ha mosso tanti tunisini a esprimere il loro voto e far lievitare con la loro presenza il germe della nuova repubblica.
(immagine dal web)
Immagini come questa noi, in Italia, forse non le ricordiamo più.
L’astensionismo di ieri ha suscitato in me, per l’ennesima volta, sconcerto e rabbia. Inoltre, il nostro Presidente del Consiglio non può permettersi di affermare (spero almeno sia un lapsus) che la bassa affluenza è un dato secondario, perché non lo è affatto.
Possibile che molto più della metà degli aventi diritto non abbia votato per un’amministrazione locale quali sono Presidente/Governatore e Consiglio Regionale? Eppure sono le istituzioni più vicine a noi, più controllabili, se vogliamo … ma se lo vogliamo però … questo è il punto.
Stiamo davvero perdendo sempre di più il senso della partecipazione, calpestando delle conquiste, sollevando il manto di una strada che ad esempio i tunisini stanno faticosamente asfaltando.
Sono indignata e stanca di sentire ripetere che il “non voto” è una forma di protesta. Per questo diritto/dovere molti hanno lottato a costo di “lacrime e sangue”. Mi piacerebbe percepire maggiore rispetto per la Storia, per chi ci ha permesso di vivere, oggi, nella libertà; vorrei davvero vedere un senso civico più forte.
Qualunque sia l’orientamento politico, presentarsi al seggio è il modo per dire “noi ci siamo”; è assunzione di responsabilità; è garanzia, in seguito, del diritto di contestare l’operato dell’amministrazione locale. Mi chiedo se ne abbia chi non ha espresso il proprio voto.
“Nessuno mi rappresentava”, l’osservazione più frequente.
Molti non saranno purtroppo d’accordo, ma replico che l’astensione non è una risposta. È sottrarsi, quando è ormai tempo di “metterci la faccia” anche nell’espressione di un dissenso.
Come? Esiste una possibilità, peraltro normata: recarsi al seggio, farsi identificare, ritirare la scheda, restituirla senza alcuna dichiarazione di voto, senza entrare in cabina; il tutto con estrema civiltà.
Pratica snobbata per la sua inutilità. Infatti, non serve ai fini elettorali in quanto la scheda sarebbe annullata. Ma lo scopo è un altro: il conteggio dell’elettore come “attivo” con un’importante conseguenza concreta sul computo della percentuale dei votanti.
Un’ “astensione palese”, intellettualmente onesta; gesto plateale forse che comunque, se non isolato, darebbe un segnale rilevante a chi ci governa e sarebbe sintomo di maturità civica da parte di chi vuole opporsi all’interno delle istituzioni democratiche e dei suoi strumenti.
È ciò che sicuramente farò in occasione di prossime elezioni, in assenza di un candidato per me affidabile e credibile e di un programma in cui riconoscermi.