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L’astrosismologia a caccia di campi magnetici

Creato il 05 gennaio 2016 da Media Inaf

Un team internazionale di astronomi, guidato da ricercatori dell’Università di Sydney, ha scoperto che la presenza di forti campi magnetici stellari non è rara quanto si pensava in precedenza. Questo risultato avrà un impatto notevole sulla nostra comprensione del modo in cui le stelle evolvono.

Sfruttando i dati raccolti dalla missione Kepler della NASA, il team ha scoperto che stelle poco più massicce del Sole possiedono campi magnetici interni fino a 10 milioni di volte quello terrestre. «Questo dato è estremamente emozionante e del tutto inaspettato», ha spiegato Dennis Stello, primo autore della ricerca e professore associato presso l’Università di Sydney.

«Dal momento che le nostre stime precedenti indicavano che solo lo 0-5% delle stelle potesse ospitare campi magnetici intensi, i modelli che utilizziamo per studiare l’evoluzione stellare mancano di un ingrediente fondamentale», ha dichiarato il professor Stello. «I campi magnetici sono stati considerati finora irrilevanti per la nostra comprensione delle varie fasi di vita delle stelle. Il nostro risultato mostra chiaramente che questa componente deve invece essere tenuta in grande considerazione». I risultati sono stati pubblicati ieri sulla rivista Nature

La ricerca si basa su un lavoro condotto in precedenza da un team guidato da ricercatori del Californian Institute of Technology che includeva anche in professor Stello (ne abbiamo parlato qui). Questo studio aveva scoperto che misurando le oscillazioni delle stelle era possibile studiare gli interni stellari e utilizzare i dati per dedurre la presenza di forti campi magnetici.

Nella ricerca presentata ieri sulle pagine di Nature gli scienziati hanno sfruttato questo risultato per studiare un gran numero di stelle, una versione un po’ più evoluta del nostro Sole, osservate dal telescopio Kepler. Si è scoperto che più di 700 di queste stelle, chiamate giganti rosse, mostrano chiari segni di campi magnetici molto intensi al loro interno.

«Siccome il nostro campione era molto esteso, siamo stati in grado di condurre un’analisi approfondita e possiamo concludere che i campi magnetici forti sono molto comuni tra stelle che hanno masse pari a circa 1.5-2.0 volte quella del Sole», ha spiegato il professor Stello. «In passato potevamo solo misurare ciò che accade sulla superficie delle stelle, e i risultati indicavano una rara incidenza di campi magnetici intensi»

Utilizzando una nuova tecnica chiamata astrosismologia, che è in grado di “vedere” attraverso la superficie delle stelle, gli astronomi possono osservare la presenza di un campo magnetico molto intenso nei pressi del nucleo stellare. Questo è di grande importanza, perché i campi magnetici possono alterare i processi fisici che avvengono all’interno della stella, come ad esempio la rotazione interna, che hanno effetti diretti su come la stella invecchia ed evolve.

La maggior parte delle stelle come il Sole oscillano continuamente a causa della presenza di onde sonore che si muovono al loro interno. «L’interno di queste stelle è essenzialmente come una campana» ha spiegato il professor Stello. «E proprio come una campana, il suono che produce può rivelare le loro proprietà fisiche»

Il team di scienziati ha misurato le minuscole variazioni di luminosità causate dal passaggio delle onde sonore e ha scoperto che alcune frequenze di oscillazione mancano nel 60% delle stelle poiché vengono soppresse da forti campi magnetici interni.

Questi risultati permetteranno agli scienziati di testare in modo più diretto le teorie di formazione ed evoluzione dei campi magnetici interni alle stelle, un processo noto con il nome di dinamo magnetica. Ciò potrebbe portare ad una migliore comprensione generale della dinamo magnetica, inclusa quella alla base del ciclo di 22 anni del Sole, che come sappiamo influenza i sistemi di comunicazione sulla Terra.

«Adesso la parola passa ai teorici, che dovranno indagare il motivo per cui questi campi magnetici siano così comuni», ha concluso il professor Stello.

Fonte: Media INAF | Scritto da Elisa Nichelli


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