Queste scaramucce tra Inter e Juventus fanno parte del gioco e servono ai giornalisti per riempire di inchiostro le pagine dei quotidiani sportivi italiani, a caccia di notizie in un periodo povero di calcio giocato e in una estate (finora) priva di veri grandi e importanti colpi di calciomercato. Ma personalmente non considero interessante e in qualche modo funzionale questionare dello stile e del bon-ton di Massimo Moratti e dei suoi “colonnelli”, né intendo addentrarmi più di tanto nei perché, allo scopo di ingraziarsi le frange più stupide – e, come sovente accade, più numerose – del tifo bianconero, John Elkann continui a non condannare il recente – e tutt’altro che glorioso – passato juventino e i più indegni personaggi che nessuna gloria e/o giovamento hanno portato alla storia del club, costretto alla perdita di due Scudetti e una storica e rovinosa retrocessione in Serie B. Tuttavia, per ragioni diverse da quelle di John Elkann e che esulano da stupide dispute di natura “stilistica”, al fischio finale di Inter – Atletico Madrid, gara valida per l’assegnazione della Supercoppa Europea, mi sono domandato anche io: “ma l’Inter sa vincere?”
Se consideriamo solo i risultati ottenuti negli ultimi anni sul campo, la risposta è semplice: sicuramente sì. Javier Zanetti e compagni hanno fatto incetta di coppe e di trofei: cinque Campionati consecutivi – eguagliato il record della Juventus di Carcano e del Grande Torino – tre Coppe Italia e quattro Supercoppe Italiane. Soprattutto, una Champions League, vinta lo scorso 22 maggio ai danni del Bayern di Monaco e al termine di una stagione eccezionale, che ha visto i nerazzurri trionfare in tre competizioni, come lo straordinario Barcellona della stagione precedente. Un successo comunque meritato e che arriva da lontano; da un lato il giusto epilogo di una lunga rincorsa durata oltre trent’anni, dall’altro una grande, straordinaria e difficilmente ripetibile opportunità. La squadra che ha vinto a Madrid è una squadra vecchia, con un’età media prossima ai trent’anni e in ogni caso bisognosa di un rinnovamento più o meno radicale e tale da garantire a questa squadra rendimento e vittorie costanti negli anni a venire. La vittoria della Champions doveva costituire il punto di partenza su cui costruire una nuova Inter futura e finalmente con una dimensione internazionale degna della sua storia oramai più lontana. Gli esempi da evitare sono il Porto di Mourinho, il Borussia Dortmund di Ottmar Hitzfield/Nevio Scala e l’ultimo Milan, che, dopo la vittoria della Champions del 2007, è sprofondato in una stagnante mediocrità.
Tuttavia, al momento Massimo Moratti e l’Inter non sembrano aver colto questa grande opportunità. La disfatta contro l’Atletico di Quique Sánchez Flores e di Forlán è stata il culmine di tre mesi di indecisioni e di una politica societaria e tecnica sicuramente indegna per una squadra Campione d’Europa. Intanto, sin dal primo momento, è apparso evidente che la dirigenza questa estate non aveva troppo voglia di spendere: scelta in larga parte comprensibile dopo i troppi sprechi degli anni precedenti che hanno praticamente inguaiato le casse societarie e le nuove norme in materia di “Financial Fair Play” introdotte dal presidente UEFA Platini; una politica che ha trovato una sua parziale giustificazione e verifica sul campo negli investimenti fatti nel settore giovanile e nell’acquisto di giovani giocatori (Ranocchia, Coutinho, Biabiany, Mariga…) dalle buone potenzialità. Ma che va comunque a cozzare contro la realtà dei fatti – l’Inter è una squadra vecchia e necessita di un rinnovamento anche nell’immediato per continuare a vincere– e contro una serie di scelte poco condivisibili della società: il rinnovo del contratto di Diego Milito, che praticamente nemmeno alzava la Coppa che già minacciava di andare via e di avere molte e fantomatiche offerte; la cessione di Mario Balotelli, praticamente uno dei migliori talenti under 20 del globo. Una cessione solo parzialmente giustificata dal fatto il giocatore pare avesse rotto con lo spogliatoio e con l’ambiente interista, ma sicuramente tale da indebolire la squadra, che a questo punto richiede almeno un paio di innesti – uno a centrocampo e uno nel reparto offensivo – per continuare a competere a livello internazionale.
Come se non bastasse, José Mourinho, ricalcando la scelta fatta all’indomani della vittoria della Champions con il Porto (allora la destinazione fu Londra, sponda Chelsea), ha lasciato Milano e si è accasato al più ricco e blasonato Real Madrid, creando più di uno scombussolamento a livello societario, dato che Moratti solitamente è abituato a mandare via lui gli allenatori, quando non ne è più innamorato, e non a vederli andare via.
Deve essere anche per questo allora che il presidente dell’Inter si è completamente – ma anche no – affidato nelle mani di Marco Branca, l’uomo mercato dei nerazzurri e in larga parte anch’egli fautore dei tanti successi ottenuti negli ultimi anni. L’ex “cigno di Grosseto” sembrava avere avuto carta bianca: si è disfatto dell’amico-nemico Oriali, come allenatore ha puntato forte su Benítez e sul mercato aveva individuato in due pupilli dell’ex allenatore del Liverpool i giocatori necessari per rinforzare la squadra. Kuyt e Mascherano. Tra le altre cose – cosa rara di questi tempi – desiderosi entrambi di venire a giocare in Italia e di indossare la maglia nerazzurra.
Ma qualcosa è andato storto. Se da una parte Moratti si è affidato a Branca per costruire la nuova Inter, dall’altra questi non appare troppo convinto della scelta di Benítez. Allo spagnolo è stato fatto firmare un biennale e i due acquisti che aveva richiesto, e che lo stesso Branca aveva in qualche modo avallato, sono saltati. Allo stato attuale delle cose dunque, pare quasi Moratti e l’Inter si siano proposti un anno di transizione prima di provare ad aprire e inaugurare un nuovo ciclo, forse convinti di potersi ripetere con la stessa rosa della scorsa stagione, forse perché disposti a “accontentarsi” di vincere nel frattempo le due Supercoppe, il Mondiale per Club, lo Scudetto e poi di valutare il da farsi e se inaugurare un nuovo ciclo – possibilmente vincente – proprio con Benítez o optare per un’altra guida tecnica.
Fosse così, i piani della dirigenza interista sono già falliti ancor prima di cominciare. Ieri sera, l’Inter non ha praticamente giocato contro l’Atletico di Madrid, che ha vinto meritatamente e ha portato via all’Inter un trofeo importante e che difficilmente gli ricapiterà di giocare a breve termine. Non sarà facile neppure vincere il Mondiale per Club, dato che l’Internacional di Porto Alegre, che ha vinto questa competizione solo quattro anni fa, è tutto fuorché una squadra materasso, né la vittoria dello Scudetto potrebbe essere poi tanto scontata se è vero che la Juventus ha investito pesantemente sul mercato e che il Milan è prossimo a prendere Ibrahimovic, uno che almeno in campionato non pare avere poi troppi rivali.
In definitiva, non lo so se l’Inter sa vincere. Uno degli importanti obiettivi stagionali, la Supercoppa UEFA, è stato mancato. Ne restano altri quattro, l’Inter e Moratti sono a un bivio. L’anno scorso questa squadra ha dimostrato di non avere troppa qualità, ma di avere carattere da vendere e, con un paio di innesti di qualità (indi non i paventati Palombo, Montolivo e Sculli…), almeno Scudetto e Mondiale per Club dovrebbero essere obiettivi alla portata. Forse non è troppo tardi per prendere la strada giusta.
Ernesto Battaglia