L’ATTENTISSIMA | Un romanzo di Teresa De Sio | letto e recensito da Amedit

Creato il 28 marzo 2015 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia

di Leone Maria Anselmi

Seconda prova narrativa per la cantautrice Teresa De Sio, dopo Metti il diavolo a ballare del 2009 (Einaudi). L’attentissima è la storia di una trasformazione, di un transito, di una riappropriazione. Il protagonista è al contempo un ragazzino e una donna, in un’unica soluzione di continuità. Sullo sfondo un quartiere di palazzoni alla periferia di Somma Vesuviana, microcosmo di un gruppo mal assortito di ragazzetti sospeso tra l’inconsistenza del presente e l’incognita altrettanto incolore del futuro. L’occhio di bue inquadra Domenico Picariello, una femme imprigionata in un corpo poco convincente di maschietto, una primadonna su tacco 12 costretta nella sagometta androgina di un teen-ager, una sorta di entità aliena alla ricerca di una propria dimensione terrestre. Un giorno Domenico – dopo anni di estenuanti terapie psicologiche e endocrinologiche, e dopo un mare infinito di burocrazia – diventerà quello (quella) che ha sempre desiderato diventare, non semplicemente una donna ma Karmen, proiezione di un archetipo della femminilità che rasenta un certo ideale di perfezione, più un modello di donna che una donna di per sé, più un desìo del sé che un sé solo sessualmente connotato. «Karmen pensa che sia “politicamente corretto” affermare il senso della propria esistenza, riuscire a essere quello che si desidera, anche se diventarlo implica un gesto di totale distruzione e un altro di creazione.»

Siamo alla metà degli anni Novanta e Domenico nasce e cresce in una società strutturata a compartimenti stagni: gli uomini da una parte e le donne dall’altra, con in mezzo il nulla; l’inadeguatezza lo porta dapprima all’isolamento per poi indurlo a un coraggioso outing, il primo passo verso quell’agognata identità sociale. Tutt’intorno un deserto che si chiama famiglia, scuola, compagnia, quartiere, un deserto che Domenico impara ben presto ad attraversare da solo. Compiuta la maggiore età comincerà gradualmente a trasformarsi in KarmenPicar, operazione dopo operazione, tra rinoplastica, mastoplastica additiva, limatura delle tempie, filler agli zigomi e bombardamento ormonale. Se Karmen va avanti (fiera sui suoi tacchi) il piccolo Domenico resta indietro, sospeso tra l’amore mai confessato per l’amico Antonio e la violenza omofobica che quotidianamente è costretto a subire; tra i passi più forti del romanzo c’è l’episodio dell’aggressione da parte del branco: qui la normalità si accanisce contro la diversità, sotto gli occhi di un padre che non interviene, un padre non solo assente ma complice di quella violenza «…Suo padre era lì, immobile, indifferente. Aspirava il fumo senza fare una piega, come se quello che era appena successo sotto ai suoi occhi non lo riguardasse affatto.»

È l’arte (nel caso specifico la musica del violoncello) a salvare Domenico-Karmen, la possibilità di riscattarsi attraverso un medium espressivo e di ritagliarsi un ruolo professionale e identitario. Alla bassa cultura imperante del neomelodico (incarnata da tale Giusi Sudamerica) Domenico oppone, nel chiuso delle sue cuffie, le voci dolorose, tremendamente umane di Antony e DiamandaGalás, bene in sintonia con i suoi stati d’animo e con la sua visione del mondo. Il padre preferirebbe che giocasse al pallone e che la smettesse con questi “passatempi femminili”, ma la vocazione di Domenico si è già consolidata. Per acquistare il costoso strumento il ragazzino accumula le “mance” elargite in cambio di sesso da Enzino Scaramella, un uomo sposato, un laido molestatore senza scrupoli (che sul finale del romanzo, non lo anticipiamo, rivelerà aspetti ancora più squallidi e patetici). Nel prostituirsi a Scaramella il ragazzino sacrifica la sua purezza per conquistarsi un morso di libertà, ossia il possesso di quel violoncello, arma e scettro della nuova vita a Roma, lontano da quella periferia dell’anima che è Somma Vesuviana. A Roma ci sarà anche l’amica Scaturchio, che da brutto anatroccolo diventerà una fighetta attricetta di fiction.

Roma per Domenico (come per la ex bruttina Scaturchio e per il bell’Antonio aspirante carabiniere) è una sorta di paese dei balocchi, luogo di riscatto e di realizzazione; qui Karmen si libera progressivamente dei legacci del passato e riduce il suo sembiante maschile originario a un remoto riverbero: Domenico scomparirà per riapparire sul finale, emblematicamente intrecciato, suo malgrado, all’ambiguo Scaramella. L’attentissima, come si scopre scorrendo la storia, – la storia di un transito che è prima di tutto umano, e sessuale solo su un piano parallelo – non è che l’altra faccia dell’Infaticabile (sotto sotto un pene non è che una vagina rivoltata, perché quel che conta veramente è la realizzazione dell’identità attraverso la pienezza delle proprie passioni). Molti aspetti della figura di Karmen, come dichiara in margine al testo la stessa autrice, rimandano alla violinista Erma Pia Castriota (in arte H.E.R.) «… senza la cui “vita vissuta” la mia narrazione avrebbe incontrato non poche difficoltà.»

Nella struttura narrativa del romanzo – divisa in due tempi (l’adolescenza di Domenico e la maturità di Karmen) poi riconciliati in corso d’opera – De Sio inserisce ingredienti noir funzionali all’architettura della trama ma che al tempo stesso risultano accessori (e francamente un po’ forzati). In questa seconda incursione letteraria De Sio libera una scrittura coraggiosamente schietta, incisiva, a tratti persino sfrontata. Ma Teresa De Sio è prima di tutto una cantautrice, e l’elemento squisitamente cantautorale s’imprime come nota di fondo, una riflessione di respiro ampio che si spinge a contrapporre Giusi Sudamerica a DiamandaGalás, ossia lo stupro musicale neomelodico alla musica propriamente detta.

 Leone Maria Anselmi

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 22 – Marzo 2015.

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