Magazine Cinema
L'atto estremo, irresponsabile ed epifanico di veder(ci) con i nostri stessi occhi. Superare i limiti del visibile per ricercare la genesi di ogni visione. Intercettare, una volta per tutte, la radice instabile di un occhio che, nel corpo altrui, riconosce se stesso. Cinema autoptico che studia la carne morta e intercetta l'occhio vitreo, spento del cadavere, per ricordarci la mostruosa bellezza di cui siamo fatti. Lo schermo permette di vedere noi stessi con traumatica, lenticolare attrazione, e ci mostra morbosamente riflessi. Qui come mai compito del film è quello di scoprirci, guardarci, svelarci, fino al sospetto che non siamo noi a lavorare le immagini, ma, viceversa, siano le immagini a lavorare noi. Bisogna necessariamente tornare a Stan Brakhage e a "The Act of seeing with ones own eyes".
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