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L’atto finale

Creato il 19 settembre 2012 da Tabulerase

L’atto finaleFra le tante caratterizzazioni che contraddistinguono i nostri tempi, si potrebbe anche inserire la comoda e sempre più diffusa tendenza a “scusarsi”, a “ chiedere scusa”, non come formula di cortesia o atto di civile convivenza, ma soprattutto a seguito di fatti criminosi o colpe gravi.

Nel corso di questi ultimi decenni, si è assistito a mirabolanti dichiarazioni ed esternazioni di scuse che hanno investito, e investono, sia grandi questioni storiche e sociali tutt’altro che chiuse (come le scuse per la responsabilità della Chiesa Cattolica nella secolare persecuzione degli ebrei, o le scuse del cancelliere W.  Brandt per le vittime del nazismo) sia, ben più modestamente, miserabili questioni locali di malversazione o ruberie (come il caso recentissimo della regione Lazio con la patetica e sgangherata difesa dell’ex rappresentante del sindacalismo di destra (sic!), Renata Polverini) per arrivare poi alla miriade di scuse, più o meno sentite, più o meno formali e furbesche, che la cronaca di tutti i giorni ci sottopone violentando la nostra attenzione.

E’ questo un fatto che ha assunto caratteristiche pandemiche, un “vezzo” che sconfina nel vizio, facendo scempio di principi etici e morali che sono alla base di ogni società civile.

Nonostante impetuosi venti di emergenze umane, sociali ed economiche infieriscano impietosi su di un’umanità scossa e frastornata, si impone comunque un contributo di chiarezza: chiedere scusa è nobile se non nasconde l’intenzione di discolpa.

In assenza di tale condizione le vittime della feroce e stupida Inquisizione, le vittime del nazismo, del pensiero unico stalinista o di Pol Pot, fino all’imbecillità sanguinaria dei generali argentini, di Pinochet e di tutte le varie “squadre della morte” al servizio di potentati economici interni e stranieri, che hanno devastato il continente sudamericano, potrebbero in tal modo autoassolversi e redimersi.

Se il danno arrecato non viene riparato, se la ferita prodotta non viene curata, è fuorviante e ingannevole chiedere scusa.

La richiesta di scuse, se non è accompagnata dall’espiazione attraverso la pena, è inconciliabile con la richiesta di perdono.

E’ proprio l’insopportabile certezza dell’impunità, tanto per tornare alla recente cronaca nazionale, alle scuse della Presidente della Regione Lazio, o alle scuse del Vaticano per gli abusi compiuti su bimbi da sacerdoti indegni e perversi,

che si materializza a occhi ormai disincantati in quella tragica ed inquietante maschera dell’inganno il cui sinistro ghigno ne prefigura il velenoso morso.

E’ proprio questa ostentata impunità che genera la devastante protervia di una classe dirigente che si è svenduta per bramosia di potere, sino ad aver perso totalmente la propria ragion d’essere e la propria “identità” e il cui unico indiscusso successo coincide con il trionfo di quel triste e desolante deserto di idee e di idealità che, ormai costituisce l’habitat globale di intere generazioni e che è alla base di quella “mutazione genetica” e ontologica che si può definire l’homo economicus per il quale il valore di ogni cosa, persino della vita, si trova solo nel suo valore di scambio, e nella più ampia soddisfazione alla malata fantasmagoria che il Potere e il denaro sempre instancabilmente alimentano.

 In tale contesto risulta quindi di difficile comprensione la meraviglia con cui si accoglie l’apatia, o peggio, il cinico distacco con cui, sempre più spesso, giovani e giovanissimi affrontano le vicende della vita in totale mancanza di empatia con qualunque umana vicenda e nel totale disinteresse e spregio di ogni valore.

E’ il risultato ultimo di quella pluridecennale campagna di distruzione e di svuotamento di ogni istanza generatrice di libero pensiero, di demonizzazione di qualunque atto o idea che si possa contrapporre al vero pensiero unico planetario: quello della crescita perenne e del guadagno ad oltranza come variabile indipendente.

E’ l’atto finale in cui, come nella più perfetta eterogenesi dei fini, la “creatura” sta lentamente, ma inesorabilmente, divorando i suoi creatori, i suoi apologeti e l’artificioso mondo nel cui grembo, con cieco masochismo e stolto delirio di onnipotenza, era stata concepita ed allevata.


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