L'attore è un individuo che recita onestamente

Da Anna
L’attore è attore in quanto recita, ma è anche un uomo che sceglie di recitare per esprimere e per comunicare qualcosa; l’esigenza di rifondare il teatro sulla drammaturgia dell’attore porta alla nascita di un nuovo problema. L’attore non crea semplicemente un personaggio ma anche la storia e le interazioni con i diversi personaggi.
Come dice Eugenio Barba3, l’attore recita i risultati che lo spettatore vede, credendo che stiano a monte del processo creativo. La drammaturgia dell’attore è una delle principali strade da percorrere per rifondare il teatro: la scuola è il luogo dove le grandi utopie del ‘900 prendono corpo, ma è anche il luogo dove la pedagogia trova applicazione concreta. Il lavoro dell’attore diventa ricerca, sperimentazione e innovazione. L’attore (come unità corpo-mente) è il perno su cui si costituiscono, significanti, parole, spazio, tempo e la partitura visiva, acustica e gestuale dello spettacolo. L'attore esprime ed interpreta un personaggio in modi molto diversi: può cercare di comunicare la psicologia e l'emotività del suo personaggio, o eseguire una partitura gestuale e vocale rigidamente codificata, senza alcun interesse di tipo psicologico per un carattere. Dunque, al di là di quello che accomuna tutte le esperienze teatrali, esistono (e sono esistiti) diversi tipi di teatro e di teorie e prassi sceniche che propongono e presuppongono diversi modi di concepire l'attore.
L’attore può essere interprete di una parte-personaggio: attore capace di immedesimarsi con tutto se stesso nella vita scenica di un personaggio, in accordo armonico con un calibrato concerto di parti, al servizio del testo drammatico. Oppure esecutore di funzioni, dettate da uno spartito dove l’attore è “super-marionetta” che sa padroneggiare e manovrare ogni componente del proprio io per renderla docile strumento di dinamismi e di eventi scenici non finalizzati a fingere né personaggi convenzionali, né verosimili rapporti tra personaggi. Oppure autonomo poeta, d' una poesia scenica tutta affidata alle inflessioni della sua presenza scenica, vocale e gestuale. Infine vittima sacrificale d'un rito collettivo: l’"attore santo” di Grotowski, colui che non fa spettacolo ma si rende mediatore per dar luce dell'autenticità interiore.
César Brie, regista argentino contemporaneo, sostiene che “ l’attore è un artista che ha il privilegio di dare forma al dolore che il mondo gli procura perché gli altri vedano i fantasmi delle passioni che li abitano, delle domande che li angosciano. Fuori dalla scena l’attore è un essere umano che interroga la propria coscienza. Allora diventa poeta, lavora il proprio corpo, la propria voce, viaggia verso una fonte, un mistero, un origine, interroga se stesso e gli altri attraverso la propria opera”4. Il lavoro di Brie è il lavoro del teatro che non nasce solo come manifestazione di un espressione artistica, ma nasce soprattutto come teatro che attraverso la rappresentazione vuole muovere le coscienze diventando politico.
Ma l’attore è soprattutto la sua presenza fisica: il teatro è il luogo in cui si definisce l'essere attraverso l'azione e l'attore “rappresenta” qualcuno o qualcosa sulla scena in primo luogo attraverso il suo corpo, la sua voce, una maschera (in senso proprio o figurato) e altri attributi esteriori.
Articolando l'azione attraverso mimica, gestualità e prossemica, il corpo dell'attore in scena è proprio il perno su cui si fonda la comunicazione teatrale.
Ci sono anche aspetti “interiori”, i sentimenti, le opinioni, le sensazioni, le esperienze, che l'attore comunica; e qui il problema si pone a più livelli:
• gli aspetti psicologici e “spirituali” del personaggio
• gli aspetti psicologici e “spirituali” dell'attore come individuo
• gli aspetti psicologici e “spirituali” dell'attore durante la performance
A seconda della scuola di pensiero, l’attore potrà raggiungere l’interpretazione in diversi modi: o sviluppando dinamiche interiori adatte a comunicare agli spettatori gli aspetti emotivi del personaggio, o attraverso azioni che compie in scena con l’ausilio di un corpo preciso e presente, o mostrando al pubblico le relazioni che si instaurano tra i personaggi. Oppure tutte queste cose insieme. Solitamente il testo diventa un “pretesto” espressivo che induce a ricercare il vero significato nelle intenzioni che stanno tra le righe. Forse un attore flemmatico non potrà mai essere un iroso, ma attraverso la ricerca, lo studio del personaggio, del contesto, delle relazioni e di ciò che voleva trasmettere l’autore, potrà usare la sua empatia per avvicinarsi sempre di più a caratteristiche diverse dalle sue. Questa è, infatti, la parte più interessante del viaggio chiamato interpretazione.

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