Dal libro "L'austerità e di destra" di Emiliano Brancaccio, Marco PassarellaLibro ovviamente consigliatissimo
Il paradigma della scarsità
Questa particolare visione del capitalismo affonda le sue radici nella seconda metà del XIX secolo ma vanta ancora oggi numerosi sostenitori di alto rango, in accademia e nelle banche centrali, e rappresenta la base concettuale di riferimento del “mainstream” contemporaneo, la teoria macroeconomica dominante.
Il paradigma della scarsità suggerisce l’idea che la ricchezza di una nazione sia essenzialmente determinata dalle risorse produttive di cui dispone: ossia lavoro, capitale, e conoscenze tecniche accumulate.
Queste grandezze, dette fondamentali , determinano i livelli di produzione e occupazione che nel gergo apologetico vengono definite di equilibrio naturale.
Che una crisi possa ridurre l’occupazione al di sotto del livello di equilibri viene ammesso, m si precisa che lo scostamento sarà di breve periodo: prima o poi i meccanismi di mercato riporteranno il sistema economico verso la sua posizione naturale. In quest’ottica, lo sviluppo economico e vincolato dai fondamentali, ossia principalmente dalla scarsità di lavoro effettivamente disponibile.
Dal paradigma della scarsità scaturisce l’idea che sia opportuno affidare alla libera concorrenza sui mercati la mobilitazione delle risorse produttive al fine di determinare un loro impiego pieno efficiente e generatore di massima crescita economica.Paradigma della scarsità e liberismo politico si sostengono dunque l’un ‘altro.
Il paradigma della scarsità da sostegno teorico a una serie di pregiudizi radicati nell'opinione pubblica, come ad esempio l’idea che si possa interpretare la complessa realtà economica sottesa ai bilanci statali o alle bilance commerciali di interi paesi come se si trattasse dei conti di una semplice unità familiare.Se una famiglia non riesce a rimborsare i prestiti contratti in passato, si dice che essa ha vissuto oltre le proprie possibilità e che quindi deve rivedere gli stili di vita per risanare i conti.
Per analogia, allora, si ritiene che pure un economia nazionale afflitta dal debito debba essere governata secondo i crismi di un buon padre di famiglia incarnati da Polonio, che suggeriva a Laerte di essere frugale di non dilapidare le risorse scarse e di non chiedere denaro in prestito. Da tale analogia deriva quindi il luogo comune secondo cui noi tutti avremmo vissuto al dì sopra dei nostri mezzi caricando un insostenibile debito sulle nuove generazioni, e dovremmo pertanto rimediare agli eccessi del passato attraverso i sacrifici.
Le conclusioni suggerite dal paradigma dominante si fanno senso comune, senza essere sottoposte ad una verifica, ad un contraddittorio. In che senso tutti noi avremmo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, come ci dicono i media da mesi, visto che l’economia è afflitta da un sistematico sottoutilizzo del lavoro, degli strumenti di produzione e delle forze produttive esistenti? E ancora, come può l’economia nazionale ripagare i suoi debiti attraverso l’austerità se questa a sua volta implica un ulteriore, mancato utilizzo delle forze produttive un ulteriore calo dei redditi? Infine, perchè mai le cosiddette giovani generazioni sarebbero salvaguardate dalla politica di austerità, visto che questa contribuisce al dilagare della disoccupazione soprattutto fra di loro?
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