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L’autore preferito (ma l’opera?)

Creato il 12 settembre 2011 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Spulciando tra risposte e repliche realtive alla domanda sullo scarso amore dei lettori per i racconti, trovo, quasi messa lì per caso, una frase che mi colpisce. Scrive Annalisa, dopo aver motivato la propria preferenza per i romanzi: “Questo non significa che scarti i racconti a priori, ma se mi piacciono la prima cosa che faccio è scoprire se l’autore ha scritto anche romanzi…”. La frase mi incuriosisce, perché spesso e volentieri il lettore procede a rovescio: “accetta di provare” a leggere una raccolta di racconti, vincendo l’istintiva riluttanza, solo se l’autore gli è già noto, e apprezzato, per una significativa produzione di romanzi.
Nell’uno e nell’altro caso, comunque, al di là del rapporto tra romanzi e racconti (su cui non voglio qui tornare), emerge una delle connotazioni classiche del lettore italiano: ci si fida del nome dell’autore, perché ogni lettore ha, nella propria testa, un elenco di autori bravi, e tra questi elegge i preferiti. Personalmente faticherei un po’ se dovessi cavare dal mazzo della letteratura “i miei autori preferiti”: operazione che, a quanto sento e leggo, risulta invece facile e istintiva per la maggioranza dei lettori. Mi troverei invece molto più a mio agio nell’indicare le opere che ho amato, scoprendo inevitabilmente di citare con esse autori diversi.

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C’entra, nel parlar molto di autori e poco di opere, la personalizzazione estrema della societa contemporanea, suppongo. Perché se ci fermiamo a pensare, credo che possiamo convenire che è molto raro il caso di un autore che abbia prodotto, anche a giudizio soggettivo e favorevolmente prevenuto, più di uno, massimo due capolavori. Molti potranno dire che i loro autori preferiti “non li tradiscono mai”, ma è un giudizio che spesso fa riferimento più a un apprezzamento stilistico o strutturale e che indica il riconoscimento di una costanza di buon livello nella produzione letteraria. Ma non stiamo parlando di capolavori.
Il capolavoro, io credo, si ha quando un autore ha qualcosa di importante e profondo da dire, e trova il modo di dirlo benissimo, costruendo l’opera d’arte. Questo capita un paio di volte nella vita, a mio giudizio; il resto è mestiere, professionalità, capacità di raccontare, anche se in quel momento non si ha nulla di fondamentale da dire. Intendiamoci, in questo modo nascono moltissime buone opere, di piacevole lettura; ma non capolavori. E per un autore non è in ogni caso facile replicare il successo: perché o esprime la tendenza a ripercorrere strade già battute, ritrovandosi magari nell’incomoda situazione di quel noto scrittore italiano del secolo passato accusato di aver scritto per cinquant’anni lo stesso romanzo (e se il primo fece scalpore gli ultimi susciarono solo noia e indifferenza), oppure tenta la carta dell’eclettismo, con il rischio però non solo di non trovare una nuova magia ma di scontentare anche il “suo” pubblico.
Noto che anche nei commenti e nelle recensioni riservati ai nostri libri prevale a volte la voglia di capire se questo o quell’autore, trattandosi di esordienti o quasi, ha la stoffa per “diventare” uno scrittore di valore. E un poco la cosa mi infastidisce, perché mi piacerebbe, e troverei più logico, che le opinioni espresse dicessero se la tale opera è mediocre, buona o splendida, a chi può piacere e a chi no. Poi, sarà il tempo a dirci se quell’autore ha già detto tutto quel che aveva da dire, se diventerà con mestiere un buon scrittore seriale o se nel futuro ci regalerà un capolavoro.
Ma il prestare tanta attenzione all’autore, e non all’opera, mi disturba soprattutto perchè induce a qualche dolorosa rinuncia.
Fra le prime proposte ricevute dalla nostra (allora appena nata) casa editrice, ricordo un racconto breve, che una volta impaginato avrebbe potuto occupare una dozzina di pagine. Bellissimo, ma ovviamente non pubblicabile da solo. Contattai chi l’aveva scritto, per sapere se avesse altri racconti nel cassetto: non li aveva, stava lavorando a un romanzo, mi mandò alcune pagine, ci confrontammo sull’opera in gestazione, ma poi la cosa inaridì. E, in ogni caso, quell’abbozzo di romanzo non valeva un decimo del racconto: perchè in quella breve creazione c’era l’essenza assoluta di ciò che quella persona aveva da dire nella sua vita, e aveva trovato il modo, forse istintivo, di dirlo con una perfezione creativa che non era più in grado di replicare.
Chi ci segue dall’inizio, se ha letto con attenzione il nostro sito, avrà forse notato che da qualche mese a questa parte abbiamo tolto la facoltà di inviarci come proposte editoriali singoli racconti brevi: un autore deve proporre un’opera compiuta, sia essa un romanzo o una raccolta. Abbiamo accettato la logica del mercato, diffidente verso i racconti in genere ma tanto più refrattario alle antologie di autori vari.
Spesso mi viene il sospetto che ci siamo sbagliati. Perché, mercato o non mercato, se io avessi ricevuto dieci racconti come quello di cui sopra, avrei pubblicato una delle opere più belle della letteratura italiana.


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