
Ma se lo si pulisce per bene (tenendolo magari immerso in acqua ossigenata per qualche giorno) e lo si restituisce al suo splendore originale, e ci si mette a osservarlo in queste condizioni ideali, è facile si venga pervasi da uno strano istinto primordiale, invero anche un (bel) po' inquietante. È come una sorta di fame, di voglia di mangiarselo, il dente, di masticarlo, come una caramella di quelle dure, di mandarlo giù, come la voglia di assecondare un desiderio autoripristinatorio, per reintegrare qualcosa che faceva parte di noi e da cui non vogliamo separarci, come in una specie di reazione odontoiatrica equivalente dell'amputazione di un arto, che lo si continua a sentire ancora, anche se ormai non c'è più.
Eppure non è neanche proprio così, perché c'è un'altra cosa ancora molto più disturbante. Ed è che, almeno stando a qualche indagine che ho fatto, pare che l'effetto in questione si verifichi nei medesimi termini anche di fronte a un dente che non è (mai stato) vostro. E questo è davvero inquietante. L'interpretazione di questo istinto in chiave evolutiva passa pertanto dall'avere contorni puramente biologici, dunque limitati all'ambito puramente soggettivo (come appunto nel caso dell'amputazione di un arto), ad avere angoscianti risvolti relazionali, dunque allargati alla sfera del comportamento sociale degli individui, capaci in altre parole di dimostrare la presenza (più o meno) latente dell'equivalente di un vampiro bastardo all'interno di ognuno di noi (e di voi). Ma se vi garba di più uno zombie o un lupo mannaro, va bene lo stesso, fate pure.
PS Comunque, il dente in questione (quello nella foto in alto) è davvero il mio. Così, tanto per la cronaca.