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L’avventura su Misura

Creato il 09 novembre 2010 da Albino

In pizzeria ci sono due tipi di persone: quelli che leggono il menu e scelgono a seconda dell’estro, e quelli che invece ordinano piu’ o meno sempre la stessa pizza, per andare sul sicuro o perche’ "se mi piace, che motivo c’e’ di cambiare?" Non so se c’avete mai fatto caso, ma di solito questi se sono maschi ordinano prosciutto e funghi, se sono femmine margherita. Comunque sia, voi che state leggendo questo blog probabilmente appartenete alla prima categoria: siete qui perche’ siete curiosi, vi piace viaggiare, magari solo con la fantasia. O magari avete il tarlo del viaggiatore come me: siete gia’ all’estero, o state meditando di trasferirvici. Ecco, oggi voglio rivolgermi proprio a quelli di voi che vorrebbero partire ma sono ancora a casa. Questo post non e’ per gli espatriates,ne’ per i Prosciutto e funghi.

A volte leggo certi commenti al mio e ad altri blog di emigranti, e pare che sia pieno di gente che gira la rete alla ricerca di un consiglio su come andare all’estero. Come se fosse la cosa piu’ difficile del mondo. Il fatto, cari lettori, e’ che cambiare Paese non e’ facile come cambiare auto, ma non e’ nemmeno cosi’ difficile. Ancora, come dico io e come dicono tutti quelli che l’hanno fatto: basta volerlo. Basta guardarsi dentro e chiedersi, sul serio: lo voglio fare?

Il resto, scusatemi l’affronto, sono tutte scuse. Posso capire chi ha un figlio piccolo o un genitore malato, certo. Ma a parte questi casi estremi, leggo molti che sono li’, titubanti, ad ingigantire i problemi per non affrontare il nocciolo della questione.

Anni fa una mia cara amica decise di andare a vivere per un anno all’estero. Non era un’emigrazione, era solo un’esperienza, ma anche quelle sono il primo passo in fondo. Ad ogni modo, lei voleva realizzare un sogno e perche’ no, divertirsi, vivere un’avventura. Poi, a poco tempo dalla partenza, ha rinunciato. Ha iniziato ad accampare scuse. “Poi quando torno non ho piu’ un lavoro”. “Ho gia’ trent’anni, non posso perdere tempo”. “Mi prosciugo il conto in banca”. Eccetera.

Oggi ha ancora il suo vecchio lavoro, si e’ comprata casa, e’ in procinto di metter su famiglia. Ha fatto quello che voleva, perche’ quello in realta’ era il suo sogno. Quello che si raccontava per non partire era lo specchio del fatto che il suo futuro ideale se lo immaginava in Italia, sposata, con casa e magari con figli. Come ho scritto ieri: sono scelte. Lei ha scelto ascoltando il suo cuore. E ora e’ felice.

E quante volte le ho sentite, queste scuse: “Andrei all’estero domani, ma sono figlio unico. Ai miei chi ci pensa?”.Andrei all’estero domani, ma non ho una laurea”. “Andrei all’estero domani, ma sono troppo vecchio”. “Andrei all’estero domani, ma ho moglie e figli”. Ma il fatto, cari lettori, e’ che ognuno fa quello che si sente di fare. Fa quello che e’ meglio per lui. E non importa quello che diciamo o quante notti insonni passiamo a pensarci. La cruda verita’ e’ che una cosa la vogliamo veramente la facciamo, punto e basta, perche’ a tutto si trova una soluzione.

Non fraintendetemi: rosolarsi nel dubbio e’ naturale. E’ giusto, pure: nessuno ha la bacchetta magica, nessuno sa come andra’ a finire. Alla fine c’e’ la nostra vita in gioco. Io stesso sono sempre stato molto attento alle mie mosse. A dispetto dell’immagine che magari posso aver dato a chi si sia limitato a leggere questo blog, io non sono uno che prende rischi inutili, e io per primo ho valutato attentamente prima di prendere le mie decisioni. Solo, a differenza della mia amica di cui ho parlato prima, io lo volevo veramente. Entrambe le volte.

La prima, in Australia.
Nel 2005 ho mollato un impiego a tempo indeteminato con contratto ANAS, 35 ore settimanali, carriera automatica a livelli, a 29 anni ero a un passo dal diventare quadro. Avevo una ragazza che la gente si girava a guardarla, quando passavamo per la strada. Non parlavo una parola d’Inglese. Chi se ne sarebbe andato, nella mia situazione?

C’era anche l’altra faccia della medaglia, naturalmente. Io volevo andare all’estero a lavorare, volevo fare un’esperienza importante per la mia carriera. Il mio lavoro era sicuro e ben pagato, ma era noioso, sottoqualificato rispetto a quello che avevo studiato.
Domanda: Sarei partito senza un lavoro nel paese di destinazione?
No. Questo era fondamentale. Non per nulla, sono partito nel 2005 ma stavo cercando lavoro dal 2003, e forse una vaga idea ce l’avevo gia’ in testa da prima. Quindi stavo cercando lavoro, attivamente, da tempo.

La seconda, in Giappone.
Stessa cosa l’anno scorso. In Australia lavoravo per una grande multinazionale, avevo una carriera spalancata. Nessun problema. Dall’altra parte, volevo andare a lavorare in Giappone, faceva parte del mio piano per migliorare dal punto di vista professionale, ed era un’esperienza di vita che volevo fare. Sapevo pero’ che li’ non mi avrebbero mai assunto perche’ non parlavo il Giapponese. Dopo due anni di ricerche di lavoro (a tempo perso, ma pur sempre…) senza risultato, ho deciso di giocarmi la carta del salto nel buio: ho preso sette mesi di aspettativa non pagata, me ne sono andato a Tokyo a scuola di Giapponese, come un ventenne qualunque. Alla fine dei sette mesi avevo imparato un po’ di giappo, avevo analizzato il mercato dall’interno del Paese, e alla fine ho pure trovato lavoro – circa una settimana prima di andarmene da Tokyo.
Domanda: Sarei partito per studiare in Giappone rinunciando al mio posto di lavoro in Australia?
No, non in quel momento.Nel 2005 avevo rinunciato al lavoro perche’ in Australia ne avevo un altro. Era una scommessa, ma i rischi erano inferiori alla voglia di farlo. Stessa cosa nel 2008: morivo dalla voglia di fare quell’esperienza in Giappone, ma non avrei rinunciato al mio lavoro perche’ il mio visto d’ingresso in Australia era legato al mio impiego. Perso il lavoro, avrei perso il visto. Ma nel 2009 sono diventato residente Australiano: ora non ho piu’ bisogno di un lavoro per soggiornare in Downunder. Dunque, se il mio datore di lavoro mi avesse detto che non mi concedeva l’aspettativa, me ne sarei probabilmente andato in Giappone nel 2009, un anno dopo. Forse.

Il punto, cari lettori, e’ che ognuno deve guardarsi dentro. Capire quali rischi e’ pronto a correre e quali rischi non puo’ accettare. Io ho agito guardando il caso peggiore. Mi sono chiesto cosa avrei fatto se in Australia fosse andata male. Mi sono risposto che sarei tornato a casa a testa alta senza rimpianti – tanto il lavoro che facevo non mi piaceva, per quanto buona fosse la posizione. Meglio la felicita’ dei soldi, mi sono detto, meglio provarci che avere il posto sicuro. Anche coi tempi che corrono, anche se sembra una cosa da pazzi, anche se nessuno lo fa e nessuno l’aveva mai fatto prima. Come il giorno in cui andai a licenziarmi, quando la dirigente del Personale dovette andarsi a studiare le procedure perche’ era la prima volta che qualcuno si licenziava sua sponte da un posto di lavoro del genere.

E quindi, cari possibili, forse futuri emigranti che non prendete mai per principio la pizza prosciutto e funghi,il mio unico consiglio e’ questo. Non state li’ a friggere nel dubbio se partire o restare: avere dei dubbi e’ naturale, ma in fondo si tratta solo di una scelta, non e’ certo questione di vita o di morte. Chiedetevi: e’ quello che voglio davvero? Preferisco Via col vento o Indiana Jones? Mi vedo accasato e felice a falciare il mio prato, o magari a far festa in qualche bar di New York? Ho piu’ paura se penso alla noia della quotidianita’, o mi fa piu’ paura l’idea di lasciare i miei amici e star solo? L’idea di ricominciare mi crea un brivido di terrore, o un brivido di adrenalina? Se penso a mollare tutto mi viene in mente che faro’ milioni di nuove esperienze, o mi immagino solo a casa, senza nessuno, il sabato sera, come inevitabilmente accadra’ nei primi tempi?

E poi. Soffrirei di piu’ a restare e a non averlo fatto, oppure a tornare indietro con le pive nel sacco, alla ricerca di una posizione che adesso magari ho, e che mi piace? E un giorno, cosa vorro’ raccontare ai miei nipoti? Le fiabe di un libro, o le mie avventure? E in che lingua lo voglio fare?

Il fatto, cari lettori, e’ che siamo tutti padroni del nostro destino. Quindi smettetela di frignare e fate quello che dovete, una buona volta. Qualsiasi cosa sia.

L’avventura su Misura



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