Titolo: L’avversario
Titolo originale: L’adversaire
Genere: Romanzo-verità
Data prima pubblicazione: 2000 (in Italia nel 2002)
Casa Editrice: Adelphi
Collana: Fabula
169 pagine
Prezzo copertina: 17,00 €
EAN 9788845927867
Quando vado a casa di amici e parenti, mi piace curiosare tra i libri che stanno leggendo. Qualche settimana fa sono stata a trovare mio cognato e mentre si chiacchierava del più e del meno, io sfogliavo distrattamente questo volume. Ho iniziato a leggere la quarta di copertina e ad un tratto mi sono alzata di scatto e sono corsa nell’altra stanza. Lui deve aver pensato “Questa è pazza!” ma si è limitato a dire “Che succede?”. Mentre correvo, schivando giocattoli per bambini disseminati lungo il corridoio e saltando il cane appisolato vicino al divano, ho risposto: “Vado a prendere l’agenda per segnarmi il titolo. Devo assolutamente leggere questo libro!”. Detto, fatto.
Dopo averlo letto tutto d’un fiato, ho pensato subito alla rubrica “Libroterapia”. La recensione, infatti, si ricollega al sintomo curato oggi: dire bugie. Berthoud ed Elderkin consigliano una cura a base di Espiazione di Ian McEwan, e in parte mi ritengo d’accordo, ma se mi trovassi davanti un paziente con questa patologia forse non esiterei a prescrivergli anche la lettura de L’avversario di Emmanuel Carrère.
Jean-Claude Romand
Scritto nel 1999, il romanzo-verità racconta la strage familiare compiuta da Jean-Claude Romand, un insospettabile medico ricercatore, marito esemplare e padre di due figli, che la mattina del 9 gennaio 1993 uccise in maniera efferata la moglie e i bambini e, il giorno successivo, anche i genitori e il cane, a cui era molto affezionato.
Entrare nella mente di un omicida è il sogno (o l’incubo) di ogni scrittore: ma quando ci si trova davanti a fatti di tale gravità, si arriva a dover fare molto più di una semplice analisi psicologica. Appresa la notizia dai giornali, Emmanuel Carrère rimase colpito dal crimine compiuto da quello che tutti definivano “un uomo normale e tranquillo”.
«A posteriori mi rendo conto di averlo preso subito per il verso giusto scegliendo quella gravità compassata e compassionevole, vedendo in lui non un uomo che ha fatto qualcosa di terribile, ma un uomo al quale è accaduto qualcosa di terribile, vittima sventurata di forze demoniache.»
Nella foto, da sinistra, la moglie Florence, Jean-Claude e (sotto) i due figli Caroline e Antonie, uccisi barbaramente il 9 gennaio 1993.
Carrère decise quindi di scrivere una lettera a Romand, per chiedergli il permesso di raccontare la sua storia in un libro. Due anni più tardi il pluriomicida gli rispose dal carcere, accettando la sua richiesta.
«Mi sono accorto che contava su di me più che sugli psichiatri per aiutarlo a capire la propria storia, e su di me più che sugli avvocati per farla capire alla gente.»
È stato difficile, per l’autore, scegliere il punto di vista da cui narrare i fatti: rimanere neutrali (come se fosse facile!) e raccontare tutto con gli occhi di un narratore esterno, o prendere una posizione? In questo secondo caso, quale adottare? Quella dell’assassino o quella degli amici, increduli e shoccati?
Alla fine Carrère ha optato per una via di mezzo: un racconto sì in prima persona, ma dalla sua prospettiva di narratore-investigatore. Avendo partecipato all’inchiesta giudiziaria e avendo intrattenuto, anche dopo la sentenza, una fitta corrispondenza con Romand, l’autore ha potuto mettere insieme i cocci di una storia che, a distanza di anni, fa ancora raggelare il sangue.
Jean-Claude ha vissuto per 18 anni una vita immaginaria, con il perenne terrore di essere scoperto. L’imperativo assoluto a cui era stato indottrinato dalla famiglia fin da bambino, cioè quello di non mentire, venne ribaltato, quasi per gioco, durante l’adolescenza. Da quel momento tutta la sua vita è ruotata attorno alla menzogna: ha finto di avere il cancro, di essersi laureato in medicina e di essere un ricercatore dell’OMS di Ginevra, di avere contatti con istituti di credito svizzeri grazie ai quali truffava amici e parenti. Si nascondeva in questo marciume, dietro il quale però non si celava nessuna mente macchiavellica; la vera identità di Romand non era quella di uno spregiudicato simulatore arrivista. Dietro tutte queste bugie c’era il vuoto. C’era solo un avversario, forte e tenace.
La tensione con cui Carrère ci presenta le diverse sfaccettature di questa mente malata puntano a svelare un mistero umano, come se ciò permettesse di svelare tutti i misteri del mondo. Si arriva però alla fine del romanzo con più domande che risposte. L’incertezza su quanto di più oscuro si nasconde nell’anima e nell’inconscio, l’ingannevole apparenza dietro cui, per tanti anni, Romand ha vissuto, la crudeltà e la bestialità con cui è riuscito ad uccidere moglie, figli e genitori, a sangue freddo e senza tentennamenti, in maniera del tutto premeditata, arrivando addirittura a cercare di coprire ogni colpa appiccando un incendio – ma ben sapendo di riuscire a uscirne vivo – non trovano una scusa plausibile, ma lasciano con mille dubbi.
Le riflessioni dell’autore ci portano, alla fine, quasi a far vacillare la fede più indiscutibile (qualsiasi essa sia):
«Per guardare in faccia, senza compiacimento morboso, le tenebre in cui lei si è trovato e si trova ancora immerso, bisogna credere che esista una luce grazie alla quale tutto ciò che è accaduto, perfino l’estrema disgrazia e l’estremo male, diventerà comprensibile ai nostri occhi.»