AVVERTENZE: questo articolo è generalista. So che esistono le eccezioni. Il fatto è che nessuno le vede.
Ho imparato a scrivere a scuola elementare. Dovrebbero farlo tutti, ma non è così scontato come sembra. Lì ci sono arrivato che già sapevo leggere.
Ho faticato di meno rispetto agli altri. È una cosa che mi capita spesso, perché arrivo alle cose prima.
Non è colpa di nessuno. È il mio cervello.
Funziona così. Dando spesso virate improvvise alla mia vita.
Infatti, a un certo punto, intorno ai diciannove anni d’età, dopo un primo anno di università fallimentare, durante il quale non sostenni neppure un esame, mi convinsi che partecipare a un concorso indetto da una nota casa editrice, il cui fine ultimo era la pubblicazione di un’antologia di racconti, sarebbe stata una buona idea. Così, all’improvviso. Non avevo mai scritto nulla fino a quel momento. Meglio che tentare di darlo comunque, quel cazzo di esame, magari implorando per un diciotto ed evitando così di essere chiamato a servire il mio paese. Leva obbligatoria. Qualcuno se la ricorda ancora.
Fino a quel momento ero stato piuttosto bravo a disegnare. Conservo ancora un trofeo, nella bacheca della mia libreria, a testimonianza di ciò.
La mia disposizione a fingere di essere uno scrittore è nata così. Nessun demone si è aperto un varco dal mio stomaco e mi ha costretto a scrivere per lui. E non ho mai avuto per amante una puttana disposta a mantenermi mentre scrivevo quello che sarebbe stato il romanzo del secolo. Quello successivo, perché, da buon scrittore maledetto, sarei stato scoperto postumo. Non c’erano cazzi…
Da quel momento ho solo scritto e non ho più toccato una matita o un pennello. Ho anche avuto una fidanzata, sì. Ma era una brava ragazza. D’altronde, mentivo anche io. Non ero affatto maledetto. Ma un tizio qualunque, arrogante, che s’era messo in testa di scrivere dalla sera alla mattina. E di farlo anche bene.
Per la cronaca, fui ovviamente scartato, a quel concorso. E l’antologia fu pubblicata piena zeppa di racconti merdosi. Ma forse erano belli e perfetti, e io il solito stronzo invidioso.
Anche il mio racconto faceva schifo. Ragion per cui, la domanda che sorse spontanea fu: A parità di racconti merdosi, perché il mio no e gli altri sì?
Ho tentato, poco, devo aggiungere, la carta dell’invio del manoscritto. Alcune volte mi hanno persino risposto. Cortesemente, ingnorandomi.
Ma credevo fosse l’unica via. E che quei figuri trincerati in palazzi dorati, mai visti, ma immaginati, fossero l’unica via percorribile.
Per anni ho lasciato perdere, cullandomi all’idea.
Ho continuato a scrivere e, come tutti gli aspiranti scribacchini, ho attraversato diverse fasi:
1 - genio incompreso (e chi non crede di esserlo, almeno una volta?)
2 - poeta neo-romantico pessimista (che pensa di poter scopare solo grazie alla sua personalità ombrosa, ma che nessuna se lo fila; e comincia a portare anche un po’ sfiga)
3 - animo ribelle (di solito, in questa fase si scrivono ogni genere di volgarità alla Bukowski, ma non avendo avuto la stessa vita di Bukowski e non bevendo quanto lui, ce le si deve inventare, le volgarità; con risultati ridicoli)
4 - scoperta predestinata (un bel giorno, mentre sono seduto su una panchina nel parco, alle prese coi miei scritti, passerà un talent-scout che, incuriosito, mi chiederà di leggere il mio lavoro; e d’incanto sarò pubblicato)
5 - invisibile (perché, ammesso che i talent scout passassero, non riuscivano a vedermi)
6 - inutile ammasso di ego e superbia (forse ho un’opinione di me un tantino esagerata…)
7 - incompetente (ok, ho sbagliato tutto)
8 – case editrici volenterose portabandiera del qualunquismo (è colpa loro, sono degli stronzi)
9 - indipendente e strafottente (me ne frego di tutto e di tutti e, semplicemente, scrivo, o scribacchio, dato che le mie cose vengono giudicate, da parte di chi se ne intende, sostanzialmente prive di interesse letterario e di valore artistico, qualunque cosa voglia significare in realtà)
Nel frattempo mi sono laureato. E ho vissuto.
Eppure ho continuato a scrivere. Non in quantità, perché sono un tipo improduttivo, che riesce a stare anche tre anni di fila senza comporre un solo periodo di senso compiuto. E che legge anche meno, perché non vuole copiare nessuno.
E infine, è arrivata la Rete. E con essa nuovi orizzonti. Ma sono ancora in fase 9. L’ultima.
Perché, sapete, ero ignorante in materia di eBook e in materia di case editrici, anche se su queste ultime, come potete vedere dalle fasi di cui sopra, ero giunto a nutrire forti dubbi.
Di solito non parlo di queste cose perché il mio è un blog di cinema.
Giusto, di cinema.
Anche se, fin dal nome, c’è quella strana appendice dormiente, “Book”, che sta lì come la mia coscienza.
Non ne parlo, è vero, ma leggo molti altri blog. I vostri.
E allora ho pensato che sì, l’eBook è l’unica alternativa alla palude, meglio dire fogna culturale in cui si trova il nostro paese. Quella fogna in cui tutti fanno favori a tutti. Ovvero, usano la lingua.
Se non avessi una cultura classica, non ci vedrei alcuna analogia con qualche bolgia infernale. E non potrei certo capire in che razza di girone dantesco ci siamo ficcati.
Perché siamo stati noi, con la nostra indolenza. Che poi, storicamente, è una delle cause per le quali si va a finire proprio lì sotto.
Di che lamentarsi, quindi?
L’eBook contro il sapore tagliente e stantio della carta. Non c’è storia.
Basta con le stronzate neo-romantiche. Quelle sono buone soltanto per la fase 2. E, ricordatevi, quella fase porta anche sfiga.
È giusto, al contrario, tentare la via dell’indipendenza. I diritti che hanno sempre detto essere nostri, primo fra tutti la libertà di pensiero, e che abbiamo sempre avuto paura a usare.
Mi piace pensare che i miei futuri eBook, se mai vedranno la luce, siano distribuiti a titolo gratuito, alla faccia di chi non vuole. O a un prezzo che sia il più possibile morale (tanto per non passare proprio per un coglione), che non infanghi le soglie della decenza. Visto che non deve passare dalla filiera del nulla. Tanto cara (spesso in senso pecuniario) e tanto tipica di casa nostra.
Mi piace pensare che i miei lettori siano svegli e attenti, e che non liquidino il tutto con la solita scusa del Too Long; Didn’t Read. Che è parte dell’indolenza di cui sopra. Mi piace pensare di avere un rapporto diretto con ognuno di loro, magari via mail, che mi dicano cosa piace e cosa non piace di ciò che scrivo.
Mi piace sempre pensare di essere scoperto da un talent-scout e di avere la libertà e la faccia tosta, in quel caso, di mandarlo affanculo.
Sono io che scribacchio. Sono io a decidere cosa fare e di chi fidarmi. Persino di autoescludermi da tutto il resto delle ben note possibilità. Che se le tengano. Sono io, soprattutto, a scegliere con chi collaborare. Persone in gamba, che ho conosciuto proprio qui, nella Pericolosa Internet. La Terra Selvaggia. Un posto incomprensibile per molti, la cui libertà responsabile, spesso, atterrisce i dinosauri. Proprio quelli che, se noi non ci fossimo messi comodi a guardare, si sarebbero estinti. Di nuovo. Com’è nella natura delle cose, ogni qual volta arriva un asteroide.
Torno a essere l’artefice.
Dovreste farlo anche voi.