L’eccidio di Denver, un problema culturale

Creato il 21 luglio 2012 da Nicola Spinella @ioparloquantomi

Una nazione che poggia la propria esistenza sul fortissimo(?)potere economico. Un popolo eterogeneo che conosce il conflitto ma è pronto a credere e ad unirsi contro un nemico comune, qualunque esso sia e senza fare troppe domande. Gli Stati Uniti d’America: ma siamo certi che sia questo il modello cui si debba tendere?

Un cinema, un film, i popcorn e le caramelle, la coca cola annacquata è già nel bicchiere.Poco importa il titolo del film e la sua recensione. A far notizia, purtroppo, è il numero dei morti seminati da una persona apparentemente normale. Siamo ad Aurora, Denver, Colorado, Stati Uniti d’America. Un po’ più a sud, sempre da queste parti, si trova la frazione di Columbine, resa famosa da un film di Michael Moore che raccontava  dell’assurda strage consumata da quelle parti dalla solita coppia di ragazzi “normali” che spesso si rendono protagonisti di fatti di cronaca particolarmente efferati.

In quel film, il buon Moore non colpevolizzava le armi ma la società americana nel suo complesso che teme il crimine, talvolta favorito da un clima in cui spesso difetta la coesione etnica tra varie componenti in conflitto tra loro. Stiamo parlando delle stesse componenti che, in caso di guerra, indossano uniformi e zaini per combattere contro il nemico del momento ignorandone le motivazioni. Stiamo parlando di un paese che riesce a far assegnare il premio nobel per la pace all’uomo sotto la cui presidenza si sono avuti gli omicidi di Gheddafi e Osama, senza che i due venissero processati.

Stiamo parlando di un paese che non avrebbe un solo motivo logico per essere considerato un’avanguardia di libertà e democrazia, concetti che troppo spesso vengono ricondotti unicamente al McDonald e alla Coca Cola, una società i cui componenti sono già ampiamente massacrati dall’indottrinamento dei media in una maniera non tanto differente da quella di John Carpenter in “Essi vivono”.

E’il trionfo della cultura del nulla.

James Holmes è un ragazzo di 24 anni, apparentemente normale se tralasciamo un paio di concetti lombrosiani e fisiognomici ravvisabili facilmente dalla foto diramata dalle autorità. Tralasciamo volutamente le considerazioni sull’assassinio, limitandoci ovviamente a condannare l’accaduto ma ad assolvere l’autore del gesto, vittima di un sistema assurdo in cui puoi acquistare un fucile da caccia a dieci anni, ma per la birra devi averne 21. 

Il problema è nettamente e squisitamente culturale e politico: in un paese in cui la lobby delle armi detiene un posto importantissimo nella gestione della politica stelle e strisce. Come si spiegherebbero altrimenti le inclinazioni guerrafondaie dei presidenti Usa, indipendentemente dal partito di appartenenza? Lo stesso Obama è stato sostenuto fortemente dall’industria bellica, tradizionalmente però più vicina allo schieramento repubblicano (o davvero crediamo che le minacce all’Iran dipendano esclusivamente dalla voglia di esportare la democrazia?).

Stiamo parlando di un paese in cui è costituzionalmente garantito il diritto di comprare un’arma, ma non quello alla salute, mercificata anche quella grazie alla lobby delle assicurazioni sulla sanità.

Mi piace pensare a James Holmes come ad un malato di mente che non ha avuto accesso alle cure del caso ed ha sottolineato i difetti di un sistema fallimentare su tutta la linea.

Adesso si continuerà a parlare di follia del singolo, di emulazione del cattivo di un film che ha un supereroe dei fumetti per protagonista, del classico “chi sbaglia paga grosso”, ed in Colorado vige la pena di morte (altro pilastro della civiltà democratica, ovviamente). Persino su Facebook è sorto un gruppo che invoca la pena di morte per la mano che si è macchiata di un crimine orrendo. Nessuno che però si preoccupi di punire o mettere in discussione chi quella mano l’ha armata, chi quella mano non l’ha raccolta da dove si trovava per offrirle l’aiuto che avrebbe meritato.

Restano sul campo dodici caduti, cinquantotto feriti ed una società in cui il ragazzo della porta accanto si trasforma in uno psycho killer, perché fortemente sottoposto a condizionamenti culturali che demoliscono il concetto stesso di civiltà.

Fintanto che gli Stati Uniti non prenderanno consapevolezza del fatto che le persone valgono più dei profitti, è inutile provare sdegno per questi fatti che, inevitabilmente saranno portati a ripetersi. Il primo diritto da riconoscere, assicurare, difendere e promuovere dovrebbe essere quello alla vita. Giammai quello della morte. Ma in America il mondo gira al contrario. D’altronde è il paese delle opportunità: anche di quella di morire quando una sera decidi di andare al cinema.


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