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L’eclissi da record

Creato il 18 febbraio 2016 da Media Inaf
Illustrazione del sistema binario TYC 2505-672-1, la coppia di stelle che produce le eclissi più lunghe che conosciamo. Crediti: Jeremy Teaford/Vanderbilt University

Illustrazione del sistema binario TYC 2505-672-1, la coppia di stelle che produce le eclissi più lunghe che conosciamo. Crediti: Jeremy Teaford/Vanderbilt University

Immaginate di vivere in un mondo in cui ogni 69 anni il Sole scompare con un’eclissi totale della durata di tre anni e mezzo. Questo è ciò che accade all’interno di un sistema binario di stelle che si trova a quasi 10 mila anni luce dalla Terra. Il sistema appena scoperto, chiamato TYC 2505-672-1, è riuscito a battere due record in un colpo solo: l’eclissi stellare con la durata più lunga e il periodo più lungo tra due eclissi. La scoperta è frutto della collaborazione di un team internazionale di astronomi, guidato da ricercatori della Vanderbilt University, negli Stati Uniti. I risultati del loro studio vengono descritti in un articolo accettato per la pubblicazione sulla rivista Astronomical Journal.

«Si tratta di un oggetto estremamente peculiare: di gran lunga l’eclissi stellare di maggior durata e l’orbita più lunga per una binaria a eclisse», spiega Joey Rodriguez, primo autore dell’articolo e dottorando presso la Vanderbilt University. Il record precedente era detenuto da Epsilon Aurigae, una stella gigante che viene eclissata dalla propria compagna ogni 27 anni per periodi che vanno da 640 a 730 giorni. «Epsilon Aurigae è molto più vicina, si trova a circa 2.200 anni luce da noi, ed è più luminosa, quindi gli astronomi hanno potuto studiarla con grande dettaglio», aggiunge Rodriguez. Nel caso di Epsilon Aurigae, il sistema è composto da una stella gigante gialla attorno a cui orbita una stella normale, poco più grande del Sole, immersa in uno spesso disco di polveri e gas che da Terra vediamo quasi di taglio.

«Una delle grandi sfide in astronomia riguarda il fatto che alcuni dei fenomeni più importanti si verificano su scale temporali astronomiche, mentre gli scienziati sono limitati da tempi scala umani, molto più brevi», dice Keivan Stassun, co-autore dello studio e professore di fisica e astronomia presso la Vanderbilt University. «Grazie a questo sistema abbiamo la rara opportunità di studiare un fenomeno che dura qualche decennio e fornisce una finestra osservativa su un ambiente estremamente peculiare».

Sono due le risorse che hanno reso possibile questa scoperta: le osservazioni condotte dall’Association of Variable Star Observers (AAVSO), una rete di Osservatori per il monitoraggio delle stelle variabili, e il Digital Access to a Sky Century @ Harvard (DASCH), il programma di digitalizzazione di immagini raccolte su lastre fotografiche. L’archivio di dati raccolti da DASCH si basa su migliaia di lastre fotografiche acquisite dagli astronomi di Harvard tra il 1890 e il 1989 durante uno studio sistematico del cielo boreale. Negli ultimi anni l’università ha iniziato la digitalizzazione queste immagini e in questo processo TYC 2505-672-1 ha catturato l’attenzione di Sumin Tang dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics.

Rodriguez ha partecipato a una conferenza in cui Tang ha presentato i suoi risultati su TYC 2505-672-1 e il sistema ha solleticato anche il suo interesse. Facendo parte del team che si occupa di Kilodegree Extremely Little Telescope (KELT), un sistema composto da due telescopi robotici con un campo di vista estremamente ampio (26 gradi x 26 gradi, per confronto la dimensione apparente della Luna è di circa mezzo grado), Rodriguez ha pensato che il database KELT potesse contenere immagini recenti del sistema binario. Cercando nel database Rodriguez ha trovato circa 9.000 immagini del sistema raccolte negli ultimi 8 anni, che potevano essere combinate alle 1.400 immagini catturate nell’arco dell’ultimo secolo ad Harvard. A queste immagini si sono aggunte le centinaia di osservazioni effettuate dalla rete AAVSO, che hanno permesso di coprire l’ultima eclissi del sistema, avvenuta tra il 2009 e il 2011.

L’analisi di questa mole di dati ha fatto emergere un sistema simile a Epsilon Aurigae, con alcune fondamentali differenze. TYC 2505-672-1 è un sistema costituito da una coppia di giganti rosse, una delle quali è stata spogliata del suo involucro, facendo emergere il nucleo della stella, ora circondato da un disco di materiale estremamente esteso e denso, responsabile dell’eclisse.

«L’unico modo per ottenere dei tempi di eclissi così lunghi è avere un disco esteso di materiale opaco. Non esiste nient’altro che sia abbastanza grande da oscurare una stella per mesi», spiga Rodriguez.

TYC-2505-672-1 si trova molto distante da noi, perciò la quantità di dati che gli astronomi sono stati in grado di estrarre dalle immagini è limitata. Tuttavia, è stato possibile stimare la temperatura superficiale della stella compagna, che supera di 2.000 gradi Celsius la temperatura della superficie del Sole. Questo dato, insieme all’informazione riguardante il diametro della stella, che sembra essere inferiore a metà del diametro solare, ha portato i ricercatori a concludere che si tratti di una gigante rossa spogliata dei suoi strati esterni, e che il materiale strappato possa oggi costituire il disco esteso e denso.

Gli astronomi hanno inoltre calcolato che, per ottenere un intervallo di 69 anni tra due eclissi successive, le stelle devono trovarsi circa a 20 unità astronomiche una dall’altra, ovvero circa la distanza tra il Sole e Urano.

«In questo momento anche i nostri telescopi più potenti non sono in grado di risolvere i due oggetti», conclude Rodriguez. «Speriamo che i progressi tecnologici renderanno possibile questa misura entro il 2080, quando si verificherà la prossima eclisse».

Per saperne di più, si consiglia la lettura dell’articolo:

An Extreme Analogue of ε Aurigae: An M-giant Eclipsed Every 69 Years by a Large Opaque Disk Surrounding a Small Hot Source” di Joseph E. Rodriguez, Keivan G. Stassun, Michael B. Lund, Robert J. Siverd, Joshua Pepper, Sumin Tang, Stella Kafka,Scott Gaudi, Kyle E. Conroy, Thomas G. Beatty, Daniel J. Stevens, Benjamin J. Shappee e Christopher S. Kochanek

Fonte: Media INAF | Scritto da Elisa Nichelli


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