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L’eco dei lettori. Due autori: Frazen e McGrath

Creato il 27 aprile 2012 da Patriziabi (aspassotrailibri) @openars_libri

Di Loredana M.

L’eco dei lettori. Due autori: Frazen e McGrath
Libertà, come dice il titolo, ma anche “ricerca della felicità”, sono i punti cardine intorno a cui ruota questa soap-opera in forma di romanzo, in cui troviamo stigmatizzati (ma anche sbeffeggiati, diciamolo pure) tutti i canoni dell’America contemporanea, quella forse criticata dagli stessi americani (dall’Autore sicuramente): quella delle villette a schiera della media borghesia, quella dei giardinetti curati, quella del Truman show e delle Casalinghe disperate, quella dei dispettucci tra vicini a colpi di motoseghe moleste e gatti domestici oggetto di ritorsione, delle torte appena sfornate usate come dono di benvenuto o calumet della pace, l’America del sogno americano, l’America del “solo qui può succedere”, l’America del “siate affamati, siate folli”.
Che cosa significa essere liberi e felici in America, dunque? Si può essere liberi e felici? Liberi da che cosa? Liberi da chi? Dal conformismo imperante ed ingombrante anche (o soprattutto?) in America, il Paese libero per eccellenza, per definizione, per antonomasia??? E come si può essere veramente liberi, se ci portiamo dentro, addosso e nel DNA, il bagaglio di ansie, frustrazioni ed aspettative dell’ambiente in cui siamo cresciuti? Dove e quando si comincia a essere liberi? E a che prezzo?
Ho letto molte critiche negative su questo libro, recensioni scritte da lettori che conoscono altri scritti di questo autore, e che probabilmente hanno un quadro più ampio e completo delle sue idee, e delle sue ideologie, soprattutto politiche. Non condivido queste critiche, onestamente: a me il libro è piaciuto, e pure tanto. Mi sono modestamente avvicinata alla lettura di Libertà dietro consiglio di un’amica, che sa che cosa cerco nei libri, sa di che cosa ho bisogno: storie, persone, vite, sentimenti… emozioni di altri, da fare mie. E, sebbene ritenga che questo sia un romanzo “corale”, in cui non vi è un vero e proprio protagonista assoluto, Patty Berglund ha rappresentato quel “qualcosa in più” che mi ha incatenata alla storia fino alla fine; così come lo sono tutte quelle donne che nei romanzi spiccano ai miei occhi di lettrice per la loro personalità, che riescono a fare la cosa giusta anche dopo uno sbaglio, perché pur nella loro fragilità trovano la forza di mettersi in discussione e di ricominciare; perché, in fin dei conti, è inesorabilmente vero che “accanto ad un grande uomo c’è sempre una grande donna”, che sia una Patty o una Lalitha poco conta.

Libertà, di Jonathan Franzen
(Ed. Einaudi, 2010, pp. 622, ISBN 9788806191115)

L’eco dei lettori. Due autori: Frazen e McGrath
“Le storie d’amore catastrofiche contraddistinte da ossessione sessuale sono un mio interesse professionale ormai da molti anni“: questo incipit mi riecheggiava più volte nel corso della lettura, quando cercavo di ambientarmi nelle stanze inquietanti di questo manicomio inglese degli anni ’50, nelle casette perfette tenute in ordine dalle mogli dei dottori, nei giardini fioriti e curati dai malati meno pericolosi; dove tutto è apparenza, i matrimoni sono perfetti e le mogli sono lo specchio del successo dei mariti.
In questo scenario da “Truman show” mi son lasciata condurre dal dottor Peter Cleave e dal suo io narrante nei meandri bui e contorti della triste storia di Stella, bellissima moglie del dottor Max Raphael: psichiatra stimato e di successo, candidato alla direzione del manicomio in cui si svolge la storia. Marito algido e distante, assorbito completamente dal suo lavoro, dalla passione e dall’ambizione; perché così deve essere, perchè tanto Stella sta al suo posto, è felice, sta bene lì dove sta, Stella è la bambolina perfetta che tutti invidiano per quanto è bella ed elegante. Eppure un giorno il giocattolo si rompe, ed emerge la follia del titolo. Emerge da dove è ovvio che emerga, trattandosi di un manicomio criminale, eppure è così solo in apparenza: i pezzi di questa scacchiera così perfetta e strutturata cominciano a non stare più al loro posto, “storia d’amore di chi?”, “ossessione sessuale di chi?”, diventa evidente che qualcosa non torna, che non tutto è come sembra, che i buoni non son così buoni e i cattivi non sempre son così cattivi… possono essere anche peggio. E mi rendo conto che va stravolto ogni punto di vista, perché quelli che sembrano i deboli della storia son quelli che tengono i fili, che decidono, e che scelgono, nel bene o nel male, nella follia o nella sanità mentale. Quelli che sembrano i più forti, i decisionisti, quelli designati, in grado di scegliere e di stabilire cosa è bene e cosa è male (perché loro, per carità, la follia la curano, loro folli non lo sono, né lo saranno mai), diventano essi stessi vittime di ossessione e follia, dell’altrui ossessione, dell’altrui follia, ma anche della propria, che paradossalmente però non sono neanche in grado di riconoscere.
Chi sceglie non è mai una vittima, anche se sbaglia, anche se soccombe, anche se paga un prezzo altissimo, e lo fa pagare a degli innocenti. Chi non sceglie, ma osserva dall’alto le scelte degli altri, sentendosene superiore, sentendo di avere sempre in mano la situazione ed il potere di cambiare le cose con uno schiocco di dita o un soffio di onnipotenza simil-divina, allora sì che ne diventa vittima, ma se ne accorge solo quando è troppo tardi.
Ammesso che se ne accorga.

Follia, di Patrick McGrath
(Ed. Adelphi, 1998, pp.294, ISBN 9788845913600)


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