Di Loredana M.
La storia è bella, e il libro è scritto bene, ma… doverci riflettere su per capire se un libro mi è piaciuto o no non è un buon segnale. C’è qualcosa che non torna: mi rimane dentro ma allo stesso tempo mi manca qualcosa. Non si può aver voglia di tirare fuori e di condividere una storia così intensa e devastante, e poi buttar lì, sotto gli occhi del lettore, la rivelazione della verità con un ritaglio di giornale, freddo e impersonale come solo un giornale sa essere; sembra quasi che lo stesso Autore abbia voluto fermarsi, non andare troppo oltre, per non andare egli stesso, o per non fare arrivare noi lettori, alle pieghe più profonde della sua anima, del suo dolore, della sua rinascita. Per fare questo ha scelto volutamente un taglio giornalistico, secco, asciutto, ricco di bei pensieri, di frasi lapidarie che ognuno può far sue e ricondurre alla propria storia ed al proprio dolore (e questo non è affatto negativo, anzi), ma privo di quella profondità narrativa che a volte fa dire ad un lettore “avrebbe potuto dire la stessa cosa con 100 pagine in meno”.
Ecco, in questo libro a me è mancato “il coltello con cui frugare dentro me stessa”, quello di cui ho bisogno per “entrare” dentro una storia anche se la mia storia non è, per farla mia anche se non l’ho mai vissuta. Qui sta la bravura di uno scrittore, questo pretendo da un libro: la capacità di trascinarmi dentro una storia, e di farmi emozionare con le parole; io non ho provato nessuna emozione, se non in quelle ultime 10 pagine, tra un ritaglio di giornale ed una fotografia in bianco e nero. E non mi basta. Ho letto una bella storia, ma per come è stata scritta non mi è servita a niente.
Fai bei sogni, di Massimo Gramellini
(ed. Longanesi, 2012, pp. 204, ISBN 9788830429154)