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L’eco dei lettori. Il tempo è un bastardo

Creato il 20 giugno 2012 da Patriziabi (aspassotrailibri) @openars_libri

di Loredana M.

L’eco dei lettori. Il tempo è un bastardo
E’ un romanzo “sui generis”, questo, decisamente uno dei più strani che io abbia mai letto; forse è un azzardo il solo definirlo “romanzo”, ma dire semplicemente che è una “raccolta di racconti” non rende affatto l’idea di cosa ci sia dentro questo libro, di quanto ci sia, e di quanto sia assolutamente unico e particolare.
I racconti e i personaggi sono collegati e si intrecciano tra loro come un bizzarro gioco di scatole cinesi o di matrioske, uno dentro l’altro, in una maniera così inaspettata da rendere per me necessario, ad un certo punto, prendere appunti, segnare nomi, date, storie, fino a formare visivamente un albero dai rami strettamente intrecciati che però poi si allarga, e prende altre vie: ogni ramo per la sua strada, in un altro spazio e in un altro tempo perfino ipotetico (almeno lo spero, anche se, sconsolatamente, in parte ci si riconosce già una parte della nostra realtà di sms e parole spezzate). Che poi, a pensarci bene, è un po’ la metafora della vita, di ciò che siamo e di ciò che diventiamo grazie, o nonostante, le persone e le storie che formano il nostro percorso, il nostro “albero della vita”. Anche la persona all’apparenza più insignificante, quella che ci sembra un’apparizione fugace nella nostra vita, così come nel libro, può essere determinante per dare un senso ed una motivazione ad un modo di essere, un comportamento, una paura che non siamo in grado di spiegare, nemmeno a noi stessi.
Mi piace pensare a questo libro come a un puzzle con i contorni non ben definiti, con i bordi interscambiabili, che combaciano con più di un pezzo o, ancora meglio, che cambiano forma a seconda del pezzo che gli si mette vicino. Perché le persone che incontriamo, o con cui ci scontriamo, durante il percorso da A a B che è la vita di ognuno di noi, lasciano un segno indelebile, nel bene o nel male, e modificano ciò che siamo, con la loro presenza, con il loro esserci, o non esserci, con il loro affetto, ma anche con il loro disprezzo, con il loro farci male. Tutto serve a farci diventare X oppure O, ci rende unici, speciali ognuno a suo modo, a seconda dell’esserci o non esserci stati, dell’essere arrivati prima o dopo, come un eccentrico gioco di “sliding doors” regolato da leggi e interconnessioni fisiche, quantistiche e matematiche, perfino musicali… Oh sì, la musica ha una funzione importantissima, fa da sfondo, ne dà il ritmo, ne dà un senso, dà la misura e lo spessore di cosa era un’epoca che doveva cambiare il mondo, che doveva essere, nelle utopie giovanili di chi ci stava dentro, il crocevia di una svolta, di un mondo e un futuro migliore… e che invece è rimasta un’icona di ciò che era l’America degli anni ‘70, di ciò che è diventato il mondo “invece”, e in un grottesco gioco dell’assurdo, di cosa potrebbe (e potremmo) diventare se non ci fermiamo a pensare, invece di correre sempre freneticamente in cerca di qualcosa che, se guardiamo bene, esiste già.
Dentro e intorno a noi.

Il tempo è un bastardo, di Jennifer Egan
(ed. Minimum Fax, 2011, pp.391, ISBN 9788875213633)


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