Magazine Società
Ci sono abitudini che uno si porta dietro senza porsi nemmeno troppe domande. Io ho quella di comprare ogni santo venerdì il settimanale che si occupa delle varie sfighe che incombono sulla terra: l’ “Internazionale”. Oramai, penso, sia quasi un decennio che ho questo uso tafazziano (che comunque mi sento di consigliare a tutti). Dopo il sommario e l’editoriale del direttore (Giovanni De Mauro) fanno bella mostra tre foto, emblematiche dei fatti più importanti che succedono nell’universo. Valgono il prezzo del settimanale.
Almeno una decina di volte anno, una foto raffigura una scena che, a me, fa rabbrividire. Più di mille corpi martoriati.
È sempre un esemplare maschio tra i 15 e i 40 anni. può essere di etnia curda, sudanese, algerina, afgana, hutu o tutsi. Può avere il passaporto brasiliano o messicano. Può essere cento cose e anche di più. Tanto è sempre identica la sagoma: è in piedi, in mezzo ad una strada, oppure sulle lamiere di un camion. Punta il mitra verso il cielo e spara un’orgogliosa raffica. Festeggia, sorridente o contrito. Non si sa ben cosa, ma festeggia.
I conti sono presto fatti: un buon cinque-dieci dollari di pallottole. Metà del salario mensile, in tempo di pace, per gran parte di quelle moltitudini.
Il discorso è che c’è un’economia di guerra generosa, provvida, che elargisce – oltre al pane dell’odio – anche il companatico della posa ribalda in favore di flash. Ratatatata: pallottole come tappi di champagne.
C’è poi un’economia di pace che fatica a dare il latte e gli antibiotici proprio a quei figli di padri armati e festeggianti.
Chi è poi che disse: “Riempite i granai e svuotate gli arsenali?”. L’ultimo, se non ricordo male, fu Sandro Pertini. Che patetica speranza. Gli arsenali traboccano e i tiranni lasciano in eredità ai poveracci piramidi di munizioni ben più alte di tutti gli ospedali e delle scuole e dei granai delle nazioni che festeggiano a suon di pallottole.
Sparando in aria, in fondo, quelle vittime festeggiano solo i loro aguzzini...
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