L’economia politica delle diete alimentari 2

Creato il 19 maggio 2014 da Davide

CHE COSA DETERMINA I TABÙ ALIMENTARI?
Gli antropologi discutono da decenni quali fattori economici, ecologici o culturali, da soli o in combinazione, sono i più importanti nel determinare quali animali sono mangiati o meno nelle diverse società. Per esempio, la Società Ecologica d’America (27 ottobre 2004) scriveva che la proibizione di certe specie ittiche in Amazzonia può avere una causa di adattamento biologico. Katharine Milton (1997), invece, scopriva che gruppi nemici di indios amazzonici dello Xingu, mettevano sotto tabù gli animali maggiormente preferiti dai loro odiati vicini e quindi interpretava queste proibizioni alimentari come marcatori di confini culturali che identificavano e unificavano i membri del gruppo.

Gli antropologi hanno cucinato un intero menù di teorie sui tabù alimentari. Mary Douglas (1966)
preferiva una spiegazione culturale quando affermava che i tabù alimentari ebrei erano marcatori identitari, e in simile vena Sahlins (1976:175-76) sosteneva che è il valore sociale dei differenti tagli di carne nella società americana la ragione per la cui i più ricchi consumavano i tagli di carne più costosi provenienti da animali socialmente più prestigiosi, per esempio manzo contro maiale, costate contro trippa, ecc., che giustificava la differenza di valore economico.

Ross (1980:182), a sua volta, mostrava come i cambiamenti nelle condizioni materiali della produzione alimentare influenzavano i cambiamenti del prestigio sociale degli animali, i gusti e il concetto stesso di commestibile. Il progresso tecnico in agricoltura, poi, influenzava anche questo processo, aprendo aree ecologiche, come le Grandi Pianure americane, allo sfruttamento alimentare, cambiando l’allevamento del bestiame e la produzione e distribuzione di carne. Cambiamenti simili erano avvenuti in precedenza in Europa, con l’industrializzazione e l’urbanizzazione. L’argomentazione di Ross, che considera sia le differenze di potere che i cambiamenti e le specifiche storie economiche serve a spiegare anche il cosiddetto ‘caso della vacca sacra’, di cui aveva parlato anche Harris (1976).

Il caso della vacca sacra in India è un buon esempio di come la grammatica (politica e di genere) del potere sia declinata per mezzo di fonetica economica e sintassi culturale. Vale la pena di seguire il libro di D. N. Jha, The Myth of the Holy Cow (2002), anche per la fortissima valenza politica che ha assunto a causa della feroce opposizione scatenata dal partito nazistoide nazionalista indù Bharatiya Janata Party, all’epoca al governo dell’India, che lo proibì come blasfemo. Dwijendra Narayan Jha è un eccellente storico dell’università di Delhi, che si è trovato vittima, quanto la vacca sacra, dell’uso politico della religione e della dieta alimentare.

Jha smentisce la credenza che l’induismo abbia sempre praticato l’astensione dalla carne bovina, dimostrando che fu con il consolidamento dei grandi latifondi posseduti dai bramini e con la strutturazione del sistema delle caste che la vacca fu cooptata all’interno delle strategie di sopravvivenza dell’elite sacerdotale in opposizione delle nuove religioni, buddismo e jainismo. In effetti il consumo di carne non era considerato un peccato neppure dai buddisti (anche se lo era per i giainisti). Ma nessuna delle due fedi riteneva sacra la vacca. Testi legali come i libri di Manu, Yajnvalkya, ecc. discutono cibi proibiti, ma non parlano dei bovini, e non considerano come uccisione quella rituale di una vacca. Lo stesso atteggiamento si ritrova nell’epica del Mahabharata e Ramayana e nei testi medici e astrologici.

Quando le tribù di allevatori indo-europei cominciarono a spostarsi dall’Asia Centrale verso l’India settentrionale nel II millennio a.C., il sacrificio rituale del cavallo e del bovino, toro o vacca, erano pratica comune. Il bestiame era il possesso più pregiato dei popoli indo-iraniani che chiamavano se stessi Arya, in sanscrito ‘compatriota, che fa parte della stessa popolazione’. Sacrificare bovini agli dei era dimostrazione di ricchezza e potere nelle cerimonie pubbliche e nei riti domestici, dove agli ospiti veniva offerta in pasto carne come segno di rispetto e ospitalità.
Jha colloca lo spostamento dal consumo bovino a una dieta non carnivora nell’India medievale, in seguito all’enorme espansione dell’agricoltura con l’economia pastorale nomade che cede il passo all’agricoltura stanziale, dove i bovini e altri animali diventano centrali alla produzione. Il lavoro agricolo era riservato alla casta dei coltivatori, ma dal II secolo d.C. cominciò a incorporare i poveri e i preti. Questi ultimi giocarono un ruolo sempre maggiore nello sviluppo agricolo attraverso la pratica delle donazioni di terre da parte dei re in cambio di servizi spirituali. Fu a questo punto che il consumo di carne bovina cominciò ad essere associato all’impurità e agli spiriti malvagi. I testi religiosi vennero modificati per descrivere il consumo di carne bovina come impura e il manzo e altra carne comincia a sparire dai menù dei bramini e delle classi superiori. Non scompare da quello dei contadini poveri che continuano tutti a mangiare carne, compresa quella bovina e sono classificati come impuri e intoccabili. Il rifiuto braminico dell’uccisione bovina comincia a svilupparsi intorno alla metà del primo millennio d.C. ma commenti e digesti religiosi dal IX secolo in poi continuano a tener vivo il ricordo di pratiche arcaiche di consumo bovino e alcuni si spingono perfino a permette manzo in specifiche circostanze.

Per dirla con lo storico comunista indiano D. D. Kosambi (1965) perché un indù ortodosso moderno mette il consumo di carne bovina sullo stesso piano del cannibalismo, mentre i Bramini dei Veda si ingrassavano mangiando spesso manzo sacrificato? La risposta si trova nel XIX secolo, quando le nuove classi medie emergenti indù cominciarono a vedere la vacca come un importante simbolo tradizionale insozzato dal dominio musulmano dell’India. Per questi indù la crociata per il bando dell’uccisione dei bovini divenne un marchio d’identità, parte del loro potere politico nell’India post-coloniale. I musulmani colti cominciarono quindi a sviluppare le loro fantasie separatiste, che portarono alla creazione di due elite politiche antagoniste, definite principalmente dalla religione, che provocò la disastrosa partizione dell’India in due stati ostili e talvolta belligeranti: India attuale e Pakistan.

Come abbiamo visto, solo nel XIX secolo la vacca divenne il marchio identitario anti-musulmano dell’emergente borghesia indù (Mishra 2002). Persino la gastropolitica di Gandhi cambiò dal consumo di carne come dovere nazionale e accesso a un certo tipo di virilità culinaria al vegetarianismo dopo il suo soggiorno a Londra (Roy 2002).
La recente evoluzione dell’agricoltura indiana dimostra ulteriormente come i cambiamenti economici e dei rapporti di potere all’interno della società influiscano sulla politica dietetica. Fin dagli anni 1960 la Rivoluzione Verde indiana portò all’auto-sufficienza alimentare nelle granaglie, la Rivoluzione Bianca vide l’India prima nella produzione mondiale di latte e la Rivoluzione Blu aumentò la produzione ittica. L’India si pone anche ai primi posti nella Rivoluzione Rosa, dato che è il secondo produttore mondiale, dopo l’Italia, di cuoio di qualità e la produzione di carne è direttamente collegata a ciò. Dato che non esiste alcun tabù religioso nazionalista verso un altro bovide, il bufalo (Bubalus bubalis) o bufalo d’acqua asiatico domestico, l’India sta diventando uno dei maggiori produttori mondiali di carne di bufalo sul mercato internazionale, partecipando poi alla Rivoluzione dell’Allevamento attraverso la straordinaria crescita del consumo interno di pollame e uova. All’inizio del XXI secolo il 42% delle famiglie indiane erano vegetariane e il 58% meno rigorose o non vegetariane, con un conseguente cambiamento verso una dieta vegetariana meno rigida dalla fine degli anni 1980, peraltro ancora lento nelle aree urbane e particolarmente forte nelle aree rurali (Ranjhan 2000, Delgado, Narrod and Tiongco 2003).

In conclusione, i casi della vacca sacra indiana e del consumo americano di carne bovina dimostrano che i tabù alimentari e le diete vanno e vengono a seconda del cambiamento della base economica e della struttura di potere di un paese e il grado di sfruttamento ecologico del suo territorio permesso dalle trasformazioni tecnologiche.

Bibliografia

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