L’Ecowas e le due crisi che hanno messo in ginocchio il Mali

Creato il 21 marzo 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

La crisi che dal marzo del 2012 ad oggi sta colpendo il Mali ed in particolare la regione del nord chiamata Azawad, non è un evento da considerarsi estraneo all’Africa Occidentale. Infatti, dall’acquisizione dell’indipendenza fino ai nostri giorni, gli Stati dell’Africa Occidentale non sono stati esenti da colpi di stato e da sanguinose guerre civili. Tuttavia, nel caso maliano vi sono degli aspetti particolari e se vogliamo anche unici, che hanno attirato l’attenzione della comunità internazionale e allarmato la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas). Certamente, il colpo di stato militare in Mali del marzo del 2012 non è una novità nello scenario regionale ma l’ascesa di gruppi terroristici legati ad Al-Qaeda nell’Africa Occidentale sono un elemento particolare e per molti versi unico.

L’Ecowas, di cui il Mali è membro dal 1975, ha avuto un ruolo di prim’ordine sia nella prima crisi istituzionale scatenata dal golpe militare, che nella successiva guerra di secessione portata avanti fino ai nostri giorni dalle tribù tuareg e dalle milizie islamiche dell’Azawad. Nonostante l’interessamento ed il successivo intervento armato della Francia e di altre forze occidentali, la crisi del Mali può e deve essere analizzata anche da una prospettiva prettamente regionale e africana. Dunque, risulta interessante esaminare in che modo la principale organizzazione della regione abbia affrontato questa crisi che molti osservatori internazionale hanno prospettato potersi trasformarsi in un nuovo Afghanistan africano. Inoltre, il ruolo e il modus operandi dell’Ecowas in questa crisi possono dimostrare come quest’organizzazione regionale abbia ormai acquisito legittimità e importanza anche agli occhi della comunità internazionale e dalle sue istituzioni.

La prima crisi

Il Mali è uno Stato senza sbocchi sul mare, confinante al nord con l’Algeria, ad est con il Niger, a sud con Burkina Faso e Costa d’Avorio, a sud-ovest con la Guinea ed infine ad ovest con Senegal e Mauritania, fa parte di quella fascia geografica chiamata Sahel che si estende dalle rive dell’Oceano Atlantico al Corno d’Africa. Questa posizione fa del Mali uno Stato “ponte” tra il Nord Africa e il resto del continente. Oggi, dinanzi ai mutamenti scaturiti dalla primavera araba, la sua posizione geografica rende il Mali uno degli Stati “frontiera” più interessanti da analizzare.

Indipendente dalla Francia dal 1960, fino al 1991 il Mali è stato governato da una dittatura militare d’ispirazione socialista deposta da un colpo di stato che ha dato avvio alla democratizzazione del paese e all’elezione nel 1992 del primo presidente democratico, Alpha Konare. Rieletto nel 1997, Konare nel 2002 ha lasciato la guida del paese nelle mani dell’ex presidente Amadou Toure che ha guidato il paese fino al marzo dello scorso anno. Il 2012, infatti, deve essere considerato per il Mali un anno cruciale dal punto di vista della propria stabilità territoriale ed istituzionale. Con esso si è chiuso un periodo iniziato nel 1992 caratterizzato da una relativa coesione sociale e politica che lentamente ha lasciato spazio ad una crisi prima istituzionale scoppiata con il golpe militare del marzo, a cui ha fatto seguito una seconda e più pericolosa crisi nell’Azawad che ha messo in pericolo l’unità del paese.

La presidenza di Amadou Toure è stata per molti aspetti deficitaria nell’ambito delle politiche di pacificazione ed integrazione delle tribù tuareg del nord del Mali. La mancanza di risorse sia per portare avanti un serio programma di sviluppo economico dell’Azawad, che per migliorare l’efficienza dell’esercito nel controllo della regione hanno creato i presupposti per la caduta della sua presidenza. Infatti, è proprio nel marzo del 2012 che il presidente Amadou Toure, reo di non aver messo in atto delle politiche adeguate contro le incursioni armate dei tuareg (iniziate nel gennaio del 2012) nel nord del paese, venne deposto da un colpo di stato militare organizzato dalle alte sfere dell’esercito maliano. Acquisito il potere centrale, la giunta militare chiamata Comitato Nazionale per il ripristino della democrazia e dello Stato in Mali (CNRDR), con a capo il Capitano Amadou Aya Sanogo, ha avviato, attraverso il governo ad interim di Dioncounda Traore, un processo che nel breve-medio periodo avrebbe dovuto riconsegnare il controllo del paese ad un governo civile e democratico. L’Ecowas, all’indomani del golpe, in attuazione del suo statuto ha immediatamente sospeso il Mali dalla Comunità ed ha condannato il colpo di stato militare definendolo come un atto contrario alla pace e alla stabilità dell’Africa Occidentale. Inoltre, la Commissione dell’Ecowas ha stabilito la chiusura delle frontiere e il ritiro di tutti gli aiuti economici provenienti dalla Banca comunitaria dell’Ecowas verso il Mali. Infatti, secondo l’Ecowas, i militari in Mali attraverso il golpe avrebbero violato il protocollo regionale sulla “Democrazia e Buona Governance”, causando così l’allontanamento del paese dalla Comunità.

Inizialmente, la reazione dell’Ecowas alla grave crisi istituzionale maliana ha avuto come obiettivo primario quello di pressare la giunta affinché fosse ristabilita nel più breve tempo possibile la stabilità e la democrazia nel paese. Accanto all’Ecowas, anche l’Unione Africana, in risposta agli stravolgimenti politici del Mali, ha optato per la sospensione del paese dal congresso regionale fino a quando la giunta militare non avesse riportato l’effettivo ordine costituzionale preesistente. In sostanza, l’Ecowas, in questa prima crisi, ha agito in conformità sia ai vari accordi e convenzioni regionali sulla pace e la democrazia sia in base ad uno statuto comunitario sempre più esigente nei confronti degli Stati membri sul fronte del rispetto delle istituzioni e delle sue regole democratiche.

La seconda crisi

I gruppi separatisti Tuareg e le milizie islamiche di Ansar al Dine del Movimento Nazionale di liberazione dell’Azawad (MNLA), il 22 marzo, approfittando del caos istituzionale, diedero inizio alla conquista delle città più importanti del nord del Mali, tra queste: Gao, Kidal, Tessalit e Timbuktou. Nell’arco di un mese e mezzo, Tuareg e islamisti, dopo aver occupato tutto il nord del Mali, ne dichiararono l’indipendenza imponendovi la legge islamica. Gli attacchi armati delle tribù tuareg non erano una novità per le autorità maliane vista la tradizionale conflittualità tra l’etnia nomade, spesso emarginata e discriminata, e gli altri gruppi dominanti come i Bambara, i Fulbe, i Bozo, i Dogon e i Malinke. La regione del Nord del Mali, chiamata Azawad, non è un semplice deserto con una scarsa densità di popolazione ma – oltre che un territorio ricco di materie prime quali l’uranio, l’oro e il petrolio – è una regione di frontiera, una porta di entrata e di uscita poco controllata che assorbe spesso silenziosamente drammi umani e mercenari provenienti dal nord e dal sud dell’Africa. Il territorio ideale anche per l’infiltrazione di gruppi islamici fondamentalisti. Molti di essi dallo scoppio della primavera araba, come schegge impazzite di un vaso dalla difficile ricomposizione, hanno lanciato nuove sfide per la creazione di Stati islamici, anche in regioni dell’Africa fino ad oggi estranee a questo tipo di fenomeni.

In risposta a questa situazione iniziale l’Ecowas, tra il 28 e il 30 marzo, con il supporto dell’Algeria e del Ciad, annunciò di voler basare la propria politica sul dialogo con le milizie del nord e la giunta militare per una risoluzione pacifica della crisi. Tuttavia, fin da subito non escluse la possibilità di adoperare l’uso della forza nel caso in cui la situazione fosse precipitata. Da ciò, la decisione di chiudere le frontiere degli Stati membri confinanti con il Mali, il congelamento di tutti i fondi del paese presso la Banca Centrale degli Stati dell’Africa Occidentale, la sospensione di qualsiasi aiuto finanziario proveniente dalla Banca dell’Ecowas per gli investimenti e lo sviluppo. Fin dall’inizio, l’Ecowas ha chiesto l’aiuto e la collaborazione dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite, affinché applicassero le medesime sanzioni. Dunque, l’Ecowas in questa prima fase da un lato iniziò a mobilitare le proprie forze armate, dall’altra si propose come mediatore tra le parti in conflitto affinché fosse istituito un cessate il fuoco per evitare gravi perdite tra i civili in fuga. Nell’aprile del 2012, quando le forze ribelli dell’Azawad ne proclamarono l’indipendenza, l’Ecowas, attraverso la propria Commissione, denunciò l’atto come invalido e da considerarsi privo d’effetto. Inoltre, tra il 5 e il 9 aprile, esso oltre a chiedere il rispetto dell’integrità territoriale del Mali, attraverso il Comitato dei Capi della Difesa, diede avvio alle misure preparatorie per il dispiegamento di truppe comunitarie pronte ad intervenire sul territorio maliano attraverso le procedure stabilite dal Consiglio di Sicurezza e Mediazione dell’Ecowas.

L’Ecowas, conscia della piega che stava prendendo la crisi a causa della presenza sul territorio maliano di mercenari libici e di cellule terroristiche legate ad Al-Quaeda, chiese immediatamente la collaborazione e il sostegno dell’Unione Africana, delle Nazioni Unite e dei partner occidentali di maggior rilievo per i loro interessi nella regione quali gli Stati Uniti e la Francia. A riguardo, il 13 aprile del 2012 l’Ecowas annunciò di aver ricevuto da parte dell’Unione Europea, dalla Francia e dagli Stati Uniti, la loro disponibilità per un supporto economico e logistico per la difesa e la riconquista dell’integrità territoriale del Mali. Quest’ultimo aspetto evidenzia come l’Ecowas ormai possa essere considerata un attore regionale di rilievo non soltanto per gli importanti successi ottenuti nell’ambito d’integrazione economica dell’Africa Occidentale ma anche per il ruolo che svolge dagli anni ’90 nella gestione e prevenzione delle crisi interne che colpiscono i suoi Stati membri. Dal 26 aprile in poi, l’Ecowas iniziò ad occuparsi anche del lato umanitario della crisi in Mali, mettendo a disposizione 4,5 mln $ suddivisi tra Mali, Niger e Burkina Faso al fine di aiutare questi Stati nella gestione dei rifugiati maliani in fuga dalla guerra civile scoppiata nel nord del paese. L’avanzamento delle truppe ribelli tuareg e dei miliziani islamici nell’Azawad e la dichiarazione nel maggio del 2012 di voler creare uno “Stato islamico” furono prontamente contestate dagli organi decisionali dell’Ecowas che in aggiunta proposero al governo ad interim del Mali il loro aiuto nel ristabilire l’unità del paese. Un aiuto accolto positivamente dal governo di transizione del Mali vista l’incapacità delle proprie forze armate nell’arginare l’avanzata del nemico proveniente dal nord.  

L’Ecowas, con il passare dei mesi, divenne l’attore cardine per la risoluzione della crisi in Mali e la volontà di cercare l’appoggio e la collaborazione dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite non le hanno impedito di coinvolgere anche attori spesso in contrasto come l’Unione Economica Monetaria dell’Africa Occidentale (UEMOA). Proprio a margine di un summit con l’UEMOA, l’Ecowas, il 7 giugno del 2012, annunciò di essere nel pieno dei preparativi per l’allestimento di una missione che avrebbe dovuto riportare l’ordine in Mali e di voler ottenere con la partecipazione dell’Unione Africana l’autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per l’uso della forza. Quest’obiettivo fu parzialmente raggiunto il 5 luglio del 2012, quando il Consiglio di Sicurezza ONU adottò una risoluzione favorevole alle misure prese dall’Ecowas e dall’Unione Africana nei confronti della crisi in Mali. Inoltre, in quell’occasione il Palazzo di Vetro annunciò di esser pronto ad analizzare la proposta dell’Ecowas riguardo l’invio di una missione armata in Mali. All’interno della proposta avanzata dall’Ecowas all’ONU era presente anche una road-map dalla durata di 12 mesi per aiutare il Mali a ritornare ad istituzioni democratiche e rappresentative.

In questa fase interlocutoria, l’Ecowas, attivò il cosiddetto “Gruppo di contatto sulla crisi in Mali”, che nel mese di luglio individuò le condizioni necessarie per il ripristino dell’ordine e dell’unita territoriale in Mali. In primo luogo, il gruppo dell’Ecowas chiese al Mali la creazione di un governo di unità nazionale per facilitare l’attuazione della road-map che avrebbe dovuto garantire entro 12 mesi delle elezioni presidenziali libere, trasparenti e credibili. A sua volta, chiese con forza la cessazione sia di ogni attività armata prima del mese dedicato al Ramadan, sia la distruzione da parte dei ribelli del nord dei monumenti storici presenti a Timbuktu considerati dalla comunità internazionali come patrimoni universali. In secondo luogo, il Gruppo chiese la liberazione di tutte le persone detenute arbitrariamente e l’avvio da parte della Corte Penale Internazionale di un’indagine per identificare i possibili colpevoli per crimini di guerra. Dal punto di vista operativo, il “gruppo di contatto”, per tutto il periodo, ha esortato i vertici dell’Ecowas a definire, nel più breve tempo possibile, un programma di sostegno alle forze armate del Mali nonchè modalità e tempi riguardanti il dispiegamento delle proprie truppe comunitarie, al fine di proteggere l’unità del paese, i suoi beni e le sue istituzioni.

Le decisioni fino ad allora prese da parte dell’Ecowas in merito alla doppia crisi maliana furono molto apprezzate dall’Unione Africana. Una prova di tutto ciò arrivò il 14 luglio direttamente dal Consiglio di Sicurezza e Pace dell’UA, che approvò con una risoluzione il lavoro fatto dall’Ecowas. In particolar modo, l’UE apprezzò il ruolo di mediatore dell’Ecowas e la esortò ad implementare la road-map per la stabilizzazione del Mali. Inoltre, in seno al Consiglio dell’UE fu accettata la “Technical Assessment Mission” (TAM) sotto l’egida dell’Ecowas con la partecipazione di esperti provenienti dall’ONU e dall’Unione Europea. Il TAM nacque con l’obiettivo di pianificare al meglio il dispiegamento in Mali di una task-Force sotto l’egida dell’Ecowas. Il lavoro portato avanti in poco tempo dalla gruppo TAM permise all’Ecowas e ai suoi partner di dare avvio alla missione “MICEMA”, ovvero “l’Ecowas Mission in Mali” con il compito di garantire la sicurezza del governo di transizione maliano e supportare le forze governative nella riconquista del nord del paese. Tuttavia, il dispiegamento delle truppe dell’Ecowas non avvenne con celerità. Infatti, nel settembre del 2012, il Consiglio di Sicurezza dell’Ecowas, affermò con forza la necessità di utilizzare, finché fosse stato possibile, il dialogo e ogni mezzo diplomatico esistente per risolvere la crisi con i ribelli del nord.

Tuttavia, per l’Ecowas la crisi in Mali ha avuto dei risvolti positivi a livello interno, permettendole, infatti, di migliorare le sue strutture portanti nell’ambito della sicurezza regionale. Un esempio è stata la proposta fatta dalla Commissione dell’Ecowas il 30 ottobre del 2012 per la creazione di una “Mediation Facilitation Division” (MFD). Questo nuovo strumento comunitario è stato avanzato con l’obiettivo di rafforzare l’architettura comunitaria nell’ambito della mediazione e del coordinamento delle politiche in favore della pace e della sicurezza regionale. Uno dei primi paesi europei che dimostrò essere disposto ad una collaborazione con l’Ecowas nell’ambito della crisi in Mali è stata la Spagna. Infatti, una commissione spagnola, nel novembre del 2012, presso la Commissione dell’Ecowas, oltre che ad interessarsi alle sorti dell’ancora aperta crisi in Guinea-Bissau, presentò al presidente Kadre Desire Ouedraogo la loro disponibilità per un aiuto logistico nell’ambito del  dispiegamento delle truppe comunitarie in Mali.

Con il passare dei mesi, la crisi nel nord del Mali, nonostante l’attività diplomatica e di mediazione dell’Ecowas tra il governo nazionale di transizione e i gruppi ribelli, continuò ad aggravarsi. Il pericolo di un’espansione del fenomeno terroristico proveniente da nord del Mali nei paesi limitrofi e le continue violazioni dei diritti umani spinsero la Commissione, nel dicembre del 2012, a chiedere ufficialmente al Consiglio di Sicurezza ONU di accelerare i tempi per l’adozione di una risoluzione favorevole all’uso della forza in Mali. Tale richiesta nacque dalla presa di coscienza che una strategia votata solamente al dialogo non avrebbe potuto risolvere e porre termine ai progetti di conquista delle milizie islamiche discese dal nord del paese. Dunque, l’Ecowas iniziò a pressare l’ONU affinché s’iniziasse a prendere più sul serio la possibilità di un intervento armato in difesa dell’integrità del Mali e in opposizione al terrorismo di matrice islamica in espansione nella regione. Il 12 dicembre, tuttavia, la road-map per la stabilizzazione del Mali subi un rallentamento a causa delle dimissioni del primo ministro ad interim Cheik Modibo Diarra in seguito alle minacce e pressioni provenienti da alcune sfere dell’esercito. L’Ecowas, dinanzi a questa situazione, rese nota la sua posizione affermando il proprio appoggio alle istituzioni maliane di transizione e ammonendo qualsiasi tentativo di destabilizzazione proveniente dall’esercito, in quanto riconosciute e supportate anche dall’Unione Africana e dalla Comunità Internazionale. A fronte di ciò, da quel momento, l’Ecowas iniziò a sostenere con maggior forza il ruolo del presidente e capo delle forze armate ad interim Dioncounda Traore, pressandolo affinché fosse al più presto formato un governo inclusivo e rappresentativo.

Fino al dicembre del 2012,  come detto anche precedentemente, la strategia portata avanti dall’Ecowas e dai suoi partner nei confronti della crisi nel nord del Mali si era basata sul dialogo e sulla possibilità di portare avanti con buoni risultati delle negoziazioni con i ribelli del nord. Questa strategia, a partire dal 13 dicembre 2012, fu progressivamente abbandonata poiché non più credibile a causa degli scarsi risultati ottenuti con le milizie islamiche e le tribù tuareg presenti nell’Azawad. A riguardo, il Commissario per gli affari politici e per la sicurezza e la pace dell’Ecowas, Salamutu Hussaini Suleiman, nel dicembre del 2012, denunciò l’inidoneità della strategia del dialogo per la risoluzione di una crisi così come quella maliana. Inoltre, il Commissario Salamutu Hussaini Suleiman in quell’occasione fece presente la necessità di una decisione rapida da parte del Consiglio di Sicurezza ONU in favore di una risoluzione che permettesse l’uso della forza. Il 20 dicembre del 2012, il Consiglio di Sicurezza ruppe gli indugi e con l’adozione della risoluzione 2085 si diede avvio ad una nuova fase sia per l’Ecowas che per il destino del Mali. Infatti, suddetta risoluzione autorizzò l’attore regionale dell’Africa Occidentale e i suoi partner operativi al dispiegamento dell’ “African-led International Support Mission” (AFISMA) in Mali per la difesa dell’unità nazionale del paese e per eliminare allo stesso tempo la grave minaccia terroristica presente nell’Azawad con i due gruppi fondamentalisti: “Al-Quaeda in Islamic Magrheb” (AQIM) e il “Movement of Unity and Jihad in Western Africa” (MUJWA). Oltre ad aprire nuovi scenari in Mali, la risoluzione dell’ONU permise all’Ecowas d’avviare le consultazioni operative con Stati Uniti, Unione Europea, Gran Bretagna ed Unione Africana.

Il carattere multilaterale dell’intervento in Mali portato avanti dall’Ecowas è stata fin dall’inizio una scelta obbligata visto la necessità, più volte fatta presente dalla Commissione comunitaria e dai gruppi di lavoro al suo interno, d’importanti sostegni finanziari e logistici proveniente dall’esterno.   Dopo l’adozione da parte del Consiglio di Sicurezza ONU della risoluzione in favore di un’azione armata in Mali, il 10 gennaio del 2013, lo stesso organo dell’ONU diede il consenso per l’avvio immediato della missione dell’Ecowas AFISMA in Mali. A riguardo, tra il 7 e il 10 gennaio, le milizie islamiste del nord, attraverso un’importante offensiva che li portò a conquistare città come Konna e Douentza nel centro del Mali, spinsero l’ONU a velocizzare l’avvio della missione armata dell’Ecowas supportata dalla Francia del presidente Hollande. Dal’11 gennaio, vista la preoccupante discesa dall’Azawad delle truppe ribelli e islamiste, venne avviato il dispiegamento in Mali di ben oltre 3000 uomini dell’Ecowas provenienti dalla gran parte dei paesi membri. Accanto a questa Task-Force comunitaria, la Francia in primo luogo e in seguito anche alcuni stati limitrofi come il Ciad, iniziarono ad inviare i propri contingenti per impedire alle truppe islamiste la conquista della capitale Bamako. Fin dall’inizio, il ruolo avuto dalle oltre 3000 truppe dell’Ecowas nelle operazioni belliche in Mali fu incentrato sulla messa in sicurezza delle città del sud del Mali e nella riorganizzazione dell’esercito maliano con il supporto di materiali e tecnici inviati, a partire dal 17 gennaio, dall’Unione Europea. Proprio con l’aiuto dell’Unione Europea e del fondo europeo per la pace in Africa, l’Ecowas il 12 febbraio  ha annunciato la firma del “Memorandoum of Understanding” e l’avvio del “Project Implementation Agreement”.  
Gli obiettivi principali di questi due accordi sono:

  1. sviluppare una maggiore formazione in materia di sicurezza e pace;
  2. sensibilizzare le società civili e le leadership nazionali nella prevenzione e risoluzione dei conflitti regionali;
  3. migliorare il coordinamento tra le istituzioni dell’Ecowas e gli istituti di formazione per la sicurezza regionale, al fine di rendere sempre più coerenti le politiche nazionali con quelle comunitarie come l’accordo vigente noto come “Democrazia e Buona Governance”.

 
In un mese di operazioni, se da una parte gli importanti successi ottenuti sul campo da parte delle truppe francesi e maliane sono state accolte positivamente, le forze armate dell’Ecowas in Mali non sono state esenti da problemi e critiche. Molti hanno evidenziato la mancanza di preparazione delle truppe afro-occidentali. Infatti, l’Ecowas inizialmente aveva progettato questa missione non prima di settembre 2013. Invece, il precipitare degli eventi, secondo molti osservatori internazionali, ha impedito all’Ecowas di preparare al meglio le proprie armate dal punto di vista logistico e militare. Tuttavia, il ruolo dell’esercito comunitario non va sottovalutato dal punto di vista dell’impatto positivo avuto con la popolazione locale che sicuramente ha valutato positivamente la presenza sul proprio territorio di truppe africane rispetto a quelle dell’ex madrepatria francese.

Certamente, le operazioni più importanti che hanno permesso al Mali di allontanare la minaccia islamica dalla propria capitale sono state portate avanti con successo dalla Francia, con il supporto del Mali e di alcuni contingenti ciadiani. L’Ecowas, tuttavia, mira ad acquisire un ruolo di maggior peso nel post guerra civile, attraverso una missione di peacekeeping volta ad assicurare il ripristino graduale e corretto delle istituzioni democratiche distrutte dal colpo di stato del 2012. Tale missione non è così scontata per l’Ecowas. Infatti, visto l’ampio eco che ha avuto nel mondo la crisi maliana, le probabilità di avere nel nord del Mali una missione ONU con i famosi “caschi blu” sono molto alte. Un altro attore che negli ultimi mesi ha fortemente appoggiato il processo di pace portato avanti dall’Ecowas è stata l’Unione Africana.  Su questo versante, la Conferenza dei donatori dell’UA, il 29 gennaio del 2012, ha reso noto la disponibilità per la creazione di un fondo sia per aiutare economicamente l’operazione militare dell’Ecowas, sia per ristrutturare l’esercito maliano. Sicuramente questa crisi ha rinforzato i rapporti di cooperazione e coordinamento tra Ecowas ed Unione Africana. Un elemento da non sottovalutare per il futuro e la stabilità dell’Africa. Inoltre, durante la suddetta conferenza dell’UA, il presidente ad interim del Mali Diacounda Traore ha annunciato la volontà del governo di transizione di voler effettuare entro il 31 luglio del 2013 delle elezioni politiche trasparenti e credibili.

Certamente, il ruolo avuto dalle forze francesi nell’attuale crisi maliana è stato di fondamentale importanza sia per bloccare l’ascesa degli islamisti che per la riconquista del paese; tuttavia, il futuro del Mali dipenderà anche dal ruolo che avrà l’Ecowas nei prossimi mesi. Probabilmente, una volta riconquistato il territorio nella sua interezza e assicurata la sicurezza delle città del nord da nuove rivolte di matrice islamica, sarà importante capire in che modo l’Ecowas e le sue truppe continueranno la propria missione. Dal punto di vista comunitario la leadership dell’Ecowas, nel rispetto del proprio statuto, durante la doppia crisi maliana è riuscita ad avere un ruolo importante ma non determinante. Questo è accaduto principalmente per la mancanza di risorse e per la presenza sul campo di battaglia dell’ingombrante Francia. Tuttavia, come già accaduto in diverse crisi regionali, l’Ecowas ha saputo distinguersi positivamente in tutti quei paesi membri fuoriusciti da una guerra civile. L’elemento che più risalta in questo momento è la presenza, in una crisi come quella maliana, di un organizzazione regionale africana che è stata capace ancora una volta ad essere riconosciuta come un attore cardine nella gestione e risoluzione delle crisi regionali. Nonostante, l’apparente arretramento delle forze islamiste ed il ritiro delle tribù tuareg dall’alleanza con quest’ultimi, la presenza sul campo di cellule terroristiche legate ad Al-Quaeda non deve far credere di aver riportato in Mali pace e stabilità.

Se l’Ecowas riuscirà ad ottenere dall’ONU il permesso per una missione di peacekeeping durante il periodo che accompagnerà il paese alle elezioni, sarà di fondamentale importanza che la collaborazione con l’Unione Europea e gli altri partner internazionali abbia un seguito. L’Ecowas, in questi ultimi anni sta lavorando alacremente per incrementare l’integrazione economica tra i suoi paesi membri. Dunque, è nel suo interesse avere un Mali stabile e libero da tensioni etniche e religiose per evitare sia una precipitosa fuga di capitali stranieri dalla regione sia per evitare il rallentamento del proprio processo d’integrazione. Se l’Ecowas supererà la crisi in Mali riuscendo a riportare il paese sui binari della democrazia e della stabilità, sicuramente l’intera comunità ne uscirà rafforzata e con maggiore forza potrà riprendere il cammino dell’integrazione economica da cui dipende anche lo sviluppo economico di molti dei suoi stati membri.


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