[…] Ed è dunque razzista, agli occhi dei
nostri devoti, chi osa interrogarsi, con Lévi-Strauss, sulla soglia di
tolleranza da non superare quanto al numero di stranieri che si
stabiliscono in un paese, soprattutto se lo fanno con il proposi
to
di non assimilarsi alla popolazione locale, dato che il verbo
“integrarsi” non dice che in maniera imperfetta il divenire “francese”
dello straniero, e che l’assimilazione presuppone una rinuncia a ciò che
si è stati: un modo di convertirsi, tutto il contrario del
comunitarismo che devasta l’Europa e il Nordamerica. […]
Pensare,
più in generale, che io non mi riconosco più in una Francia
multirazziale e multiculturale nella quale l’immigrato non saprebbe
nutrirsi di Montaigne, Bossuet, Voltaire, Chateaubriand, Proust, Claude
Simon, di Charpentier, Debussy, Fauré, Dutilleux, né di Philippe de
Champagne, Chardin, Corot, Manet, Balthus, e ancora meno dello
straordinario gesto delle Crociate o dei costruttori di cattedrali,
questo ha a che fare con delle patologie ideologiche?
Richard Millet, De l'antiracisme comme terreur littéraire, Pierre-Guillaume de Roux Editions, Paris 2012