Il 9 e 10 settembre si è svolto a Brescia il raduno abituale di Scholé, convegno in cui i pedagogisti di area cattolica si incontrano per riflettere su temi rilevanti della ricerca educativa. Quest'anno il focus era il rapporto tra la scuola e le diverse formazioni sociali. Tra queste formazione uno spazio rilevante lo occupano i media che sono stati oggetto della sessione dei lavori della seconda giornata. Faccio sintesi di seguito del mio intervento (che in questi giorni è diventato anche la lezione inaugurale del corso sui Metodi di ricerca in educazione mediale che sto tenendo presso l'Università federale di Santa Catarina, nel Sud del Brasile), nel quale ho adottato come criterio organizzatore lo schema con cui l’équipe di Stanford (Ito et alii, 2010) ha deciso di mettere ordine nel suo rapporto di ricerca sul significato dei nuovi media per le giovani generazioni. Ciascuno dei quattro descrittori (participation, publics, learning, literacy), infatti, ci consente di pensare a un aspetto della sfida che i media lanciano all’educazione.
1. Participation
I media stanno modificando completamente il significato e le forme della partecipazione. La comunicazione esplode, si dilata temporalmente oltre il momento dell’interazione face to face. Ne sono complici la diffusione del telefono cellulare (che decreta la reperibilità perenne di chi ne fa uso) e la pervasività dell’instant messaging (Google Talk, MSN, Skype). La socialità si intensifica, moltiplica i suoi sforzi di attivazione, inserisce i soggetti al centro di reti che li pluricollocano. Il social network, i blog, le mille aggregazioni possibili nel web facilitano questo processo. Le opportunità di questo scenario sono evidenti: i legami si possono consolidare; si aprono spazi per la relazionalità dialogica; la consapevolezza dell’altro si allarga oltre i limiti dell’appartenenza geografica e dell’informazione ufficiale. Ma sono chiare anche le criticità che spingono a pensare in termini educativi: la partecipazione “a bassa definizione” che si accontenta di scrivere (su un forum, su un blog) per esternare il dissenso o di pagare (come nel caso di Telethon) per vivere la solidarietà; la logica delle “fedeltà parallele” (Bauman, 2010) che può celare la mancanza di impegno e consentire al soggetto di non giocarsi mai fino in fondo nelle situazioni.
2. Publics
Publics è al plurale, perché si intende fare riferimento ad almeno due idee del pubblico che il consumo di nuovi media sta trasformando in profondità. In primo luogo è lo spazio pubblico, ovvero il luogo in cui dall’Illuminismo in poi è possibile al soggetto formulare il proprio parere per sottoporlo al confronto. Le regole di accesso a questo spazio sono completamente saltate erodendone i contorni fino quasi a dissolverli. In secondo luogo è il pubblico inteso come target, come destinatario del messaggio. Anche qui l’autorialità dei media ne sta cambiando i contorni che prima lo distinguevano nettamente dall’emittente. Ogni ogni lettore è anche autore ed editore (almeno potenzialmente): basta possedere un blog, avere un account in You-tube. Anche in questo caso sono chiare le opportunità: si apre e si estende la possibilità di accesso all’informazione; sembrano crearsi le condizioni per un nuovo pluralismo, al di là delle fonti di informazione ufficiali; il lettore-autore è più attivo, più protagonista, e questo è funzionale a un incremento del suo livello di consapevolezza e di partecipazione. Per converso sono evidenti le criticità: si modifica fino quasi a scomparire il senso del privato e di cosa esso comporta; il venire meno delle mediazioni aumenta la possibilità delle trasgressioni, delle violazioni della norma; il facile protagonismo del singolo utente contribuisce alla liquidazione dell’autorità.
3. Learning/Literacy
I media modificano in profondità anche le modalità attraverso le quali i soggetti apprendono (learning) e, di conseguenza, anche quelle attraverso le quali i sistemi formativi cercano di provvederli con competenze adeguate (literacy). Il punto di partenza, in questo caso, è già quello di una distanza tradizionale tra il costrutto “scuola” e il costrutto “media”. Géneviéve Jacquinot (2000) lo ha efficacemente rappresentato parlando di un giansenismo della scuola contrapposto all’edonismo dei media. La scuola è giansenista perché: l’acquisizione del dato culturale costa fatica; è il luogo dell’impegno; i risultati arrivano solo con il tempo, dopo una lunga applicazione. I media sono invece edonisti perché: il consumo è leggero e non costa fatica; sono il luogo dell’evasione; tutto si consuma nell’immediato ed è effimero. I nuovi media aggiungono a questa dialettica un ulteriore elemento di analisi che è costituito dal progressivo allontanamento delle pratiche con cui i giovani apprendono e costruiscono significati nell’informale e quelle invece che sono invitati a sviluppare nei contesti formali. Qui risiede il problema della definizione di una Literacy adeguata. Essa deve: farsi carico del problema degli apprendimenti, ma anche degli altri (Partecipazione e pubblici sono parte integrante di una moderna educazione alla/della cittadinanza); sviluppare competenze in un contesto in cui non sono solo i media a suggerire nuove sfide e le necessità di nuove soluzioni (Multiliteracy).
Riferimenti bibliografici
Bauman, S. (2010). L’etica in un mondo di consumatori. Bari-Roma: Laterza.
Ito, M. (2010). Hanging out, Messing around, and Geeking out. Kids Living and Learning with New Media. Cambridge (Ma.): MIT Press.
Jacquinot, G. (2000). Educazione e comunicazione: lo choc delle culture. In D. Salzano (ed.), Comunicazione ed educazione. Incontro di due culture. Napoli: Isola dei ragazzi, pp. 117-129.