Ieri tornavamo qui a Varsavia da Cracovia: mentre i finestrini del treno incorniciavano distese immense di verdi illuminati da un sole abbagliante, io stavo scalza e sudata dentro lo spazio giochi con un paio di altre mamme scalze e sudate e un gruppetto di nani dai 12 mesi ai 6 anni. La Viatrix era come al solito quella che rideva piu' forte, gridava piu' forte, giocava piu' forte, percio' io ero nel pieno esercizio delle mie funzioni di agente della buoncostume + guardia di massima sicurezza: fortunatamente sono arrivati due bambini spagnoli che saltavano e strillavano ancora piu' di lei e cosi' per un pezzo di viaggio che a me e' parso lunghissimo e che probabilmente e' durato un quarto d'ora, ho smesso di essere la mamma della scalmanata e ho potuto assorbirmi nei miei pensieri, mentre il papa' spagnolo sudava piu' di tutte noi insieme e la pelota rimbalzava tra il soffitto del treno ed il pavimento come una sorta di metronomo pop del nostro viaggio.
L'estate di nove anni fa arrivai in Polonia con il Senator: una decina di giorni in cui visitammo tantissimi suoi amici e parenti nonche' Poznan, Gliwice, Grobniki, Wroclaw, Parowa, Varsavia e Cracovia e vidi dai finestrini tantissimi kilometri di villaggi, prateria e scorci di citta'.
Varsavia era un cantiere immenso: cosi' tanti blocchi comunisti, alcuni bei palazzi ma sotto restauro, strade intere coperte di polvere, insegne, macchinari, gru ovunque. Su tutto spiccava un Palazzo della Cultura gigantesco che sembrava esser stato portato con un'astronave, tanto non c'entrava niente col contorno, e un centro storico carino quanto completamente ricostruito. Pare ci fossero molti parchi, ma tante erano le lamiere dei cantieri che bordavano le strade che quel verde sembrava lontanissimo ed irraggiungibile. La gente, varsaviesi autoctoni o coloro che si erano rassegnati a venire a vivere a Varsavia perche' c'e' piu' lavoro, correva dovunque, sembravano tutti incavolati o almeno troppo occupati con le loro cose da fare, gomitate nella schiena e pestaggi di piedi pareva fossero una normalita' nel camminare.
Cracovia era bellissima: palazzi, giardini, mura, castelli, chiese. Bar e ristoranti, caffetterie e centinaia di tavolini dove le persone leggevano con infinita calma il giornale sorseggiando cappuccini perfetti o brocche di tocaj con ghiaccio, carrozze bianche trainate da cavalli che facevano il giro per i turisti in un atmosfera alla Vienna incontra Firenze. Turisti spensierati e affascinati, studenti che sciupano il tempo, abitanti rilassati e orgogliosi della propria citta' .
Cracovia era l'unica citta' bella per i miei occhi italiani, vista in quel viaggio: bella e cordiale.
Non solo, era l'unica citta' dove potevo immaginare di considerare la possibilita' di vivere, se mai un giorno avessi dovuto vivere in Polonia.
Varsavia, Palazzo della Cultura, 1958(foto colorata digitalmente)
Varsavia, Palazzo della Cultura, 2014
Cracovia, Piazza del Mercato, 1960
Cracovia, Piazza del Mercato, 2014
Il volto fisico di Varsavia non e' piu' quella di nove anni fa, quello di Cracovia e' sempre lo stesso, bellissimo.
Il volto umano di Varsavia non e' piu' quelle di nove anni fa: tanti expat polacchi degli anni passati sono rientrati non alla loro citta' di origine ma alla capitale, gli expat stranieri stanno arrivando qui a frotte perche' ci sono opportunita' di lavoro ottime e si vive bene, i varsaviesi sono cambiati: dopo aver corso tutto il giorno per lavorare si concedono un po' di gioia di vivere e sono anche loro orgogliosi della propria citta', non pestano piu' i piedi al prossimo e, tranne le babcie, sono inclini alla gentilezza.
Il volto umano di Cracovia e' sempre lo stesso, cordialissimo.
E io nel frattempo, anche sono cambiata perche' quella bellezza di Cracovia che tanto mi aveva affascinato nove anni fa, adesso preferirei viverla tutti i giorni.
Sara' che di rilassatezza ho dovuto sorbirmene troppa negli anni del paesello francosvizzero, sara' semplicemente che i miei occhi hanno imparato a vedere anche la bellezza non italianamente intesa.
Nove anni fa non sarei rimasta di fronte ad un grattacielo di vetro ad ammirarne il valore architettonico, era una cosa moderna di nessun pregio rispetto ad un Duomo o ad un anfiteatro.
Nove anni fa non mi sarei resa conto del valore lavorativo di un cameriere che arriva in meno di dieci secondi a chiedere l'ordinazione o del valore imprenditoriale un commerciante che tiene aperto sette giorni alla settimana il suo negozio dalle otto di mattino alle nove di sera.
Ho imparato a vedere anche altri valori, altre bellezze artistiche e umane.
E non solo.
Vivere a Varsavia mi obbliga ogni giorno a rendermi conto di come la forza di volonta', il lavoro, l'imprenditorialieta', lo spirito di servizio, fanno la differenza, cambiano le cose, le citta', le vite.
Ogni giorno che sono stata turista qui in Polonia, ho pensato a come era diverso questo mondo finche' mancava la liberta', fino al 1989.
Ogni giorno da expat in Polonia, sono condotta da tutti e da tutto cio' che mi circonda a pensare a come tutto puo' essere fatto, quando si vive in uno stato libero: dipende solo dalla propria volonta' e dal proprio impegno. E nella mia vita io ho creduto di aver voluto davvero, di essermi impegnata davvero: anzi credo che sia stato proprio cosi', ma forse avrei potuto volere ancora di piu', avrei potuto impegnarmi, ancora di piu', se avessi davvero apprezzato il valore di vivere in uno stato libero, in democrazia, non perfetto, come non e' perfetta nemmeno la Polonia, ma di base libero.
Vivere qui mi sta insegnando a volere le cose in modo diverso, a impegnarmi nelle cose in modo diverso. Con la stessa forza, ma con diversa motivazione. Perche' ora vedo anche la bellezza della liberta' e della democrazia e prima lo sapevo che erano cose fondamentali ed importanti, ma vederselo intorno tutti i giorni e' diverso che leggerlo nei libri.