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L’egalibertè di mandarli a cagher

Creato il 01 aprile 2014 da Conflittiestrategie

L’elemento che più spesso si mescola con la filosofia, nei nostri tempi bui, è la cialtroneria. Il filosofo è diventato uno stregone che tira fuori dal cilindro qualsiasi soluzione con giochi di frasi ad affetto e nessun sostegno categoriale, pur di stare in mezzo al palcoscenico come protagonista assoluto, prim’attore di una scena allestita per la sua vanità coincidente con i suoi doveri in società.

Con ciò non vogliamo generalizzare, ci sono sicuramente pensatori seri e preparati dai quali avremmo molto da imparare ma sono letteralmente spariti dalla circolazione, scacciati via dai cattivi maestri telegenici e consumati nelle pose, proprio come accade con le monete di valore secondo la legge di Gresham.

Affamati di fama e di ambizione, barbette incolte e teste cespugliose, costoro hanno la battuta pronta ed il concetto facile, eppur indecifrabile a causa di eccessiva, nonchè ricercata, vaghezza, da sbattere in faccia ai cretini che non ci arrivano ed ai proseliti che se lo bevono tutto d’un fiato. Poiché le loro concezioni sono prive di contenuto vanno infarcite di messaggi pubblicitari che assolvano al compito di dare al consumatore di dissenso, il cliente principale che questi venditori di fumo hanno il compito di intercettare, il suo pane quotidiano. Funziona pressappoco così: blablaetico-teticoblabla…(sconcerto in platea)…Capitalismo assoluto criminale! (esultanza che fa tremare il teatro)…. blabladialetticablablabegriffsmassigblabla (mormorio degli astanti)…..Euro assassino! (olè inizia la festa!)……..blablaautopoiesiblablacretinismogramscianoblabla (sguardi persi e distratti)………Europa dei banchieri ladra e nazista! (il pubblico impazzisce e soffia nelle vuvuzelas).

Non serve ragionare laddove si può filosofare, discettare vacuamente del più e del meno, con slogan e giri di valzer verbali per l’ovazione delle masse ridotte a pubblico in sala. Il filosofo lavora per il cattivo infinito e per una sua idea di successo editoriale, molto materialistica, quasi crematistica, che esaurisce il presente con ingombro linguacciuto, investendo tutto il futuro. Il suo.

Il filosofastro alza la mano e prende la parola sui fatti in corso in nome dell’Essere ma per conto dell’essere suo stesso più importante di tutto il resto. Confondere le cose con le dotte citazioni insipide per rifondere il deposito bancario e rifondare scuole di asini e di rincitrulliti, questo è il suo karma. Tira di più un applauso dello studio televisivo che si infervora a comando di cento libri scritti con duro lavoro e, soprattutto, letti con altrettanta fatica. E’ la parte del partito preso, lo show delle scimmie ammaestrate incitate dall’accademico prestato alla falsa critica sociale. Le piazze e le trasmissioni hanno riempito i loro palinsesti di questi imbonitori da due soldi che non sanno quel che dicono ma lo raccontano come meglio credono. Prendete uno come Diego Fusaro, ospite fisso della Gabbia di Gianluigi Paragone. Il giovane in erba rumina da tante puntate sempre le stesse castronerie con gli stessi battimani “registrati”. Uno che cita a tutto spiano il cretinismo economico di Gramsci ma non vede quello suo filosofico, ben più grave e disperato, o è troppo furbo oppure è proprio andato. E’ il contesto che lo coccola e lo protegge perché egli incarna l’antitesi controllata di una tesi dominante collaudata, o come avrebbe detto il suo maestro Costanzo Preve, l’esempio incontrovertibile di una solidarietà ideologica antitetico-polare tra posizioni che marciano divise ma colpiscono unite, in quanto hanno l’obiettivo comune di evitare il germogliamento di una riflessione meno approssimativa e più aderente alla realtà dei nostri giorni.

Fusaro non cerca la verità, che non esiste, ma il facile consenso, l’acclamazione, il seguito pecoreccio per andare a trattare il prezzo delle sue performances con i “padroni dell’universo” per salire al loro livello, come direbbe Tom Wolfe.  Fusaro è però un dilettante rispetto ad altri suoi colleghi più conosciuti e riconosciuti che ormai attraversano i cieli e i mari come fossero puri spiriti ma mai puri di spirito. Ed ecco a voi Slavoj , il re di tali dulcamara pagati dai potenti per disseminare il caos cerebrale nel mondo. Non lo dico io ma un intellettuale come Noam Chomsky (che  pure qualche cantonata in vita sua l’ha presa ma di certo non lo si può accusare di impreparazione teorica e scientifica) il quale liquida senza mezzi termini i vaneggiamenti filosofici di Žižek: “Io non sono interessato alle pose, usando termini di fantasia come i polisillabi e fingendo di avere una teoria quando non si ha nessuna teoria di sorta…Non c’è nessuna teoria in nessuna di queste cose, almeno non nel senso che intende chiunque abbia familiarità con le scienze o qualsiasi altro campo serio d’analisi”. Nonostante Žižek non abbia una teoria per interpretare i fenomeni storici e politici sa sempre da che parte stare. Quella dove si vince pur dissimulando infinite critiche al sistema. Al dunque però la posizione da assumere non diverge mai da quella costituita di chi sgancia: bombe sui poveri cristi e soldi sugli intellò finti. Così il filosofo di Lubiana è andato col cuore a Kiev (mentre B-H. Levy si è fatto addirittura costruire un set e immortalare sulle barricate prefabbricate per rendere la realtà più reale di quella che è) immaginando la sua vicinanza ai poveri ucraini di Majdan che lottavano per liberarsi dall’oppressore russo e consegnarsi mani e piedi all’oppressore Atlantico. Ma che volete che importi a Žižek, il secondo corno del dilemma è solo un falso problema, lui è concentrato su quello che deve dire, sull’egaliberté, que je ne sais pas ce que c’est, ma nemmeno lui del resto e lo pagano proprio per questo, spararle grosse e incassarne più grosse per non saper né leggere né scrivere. Tirano più che altro ad indovinare. E chi non lo asseconda è un paternalista razzista verso gli ucraini e gli altri popoli che si ribellano a cazzo di cani. Me lo concederete e mi scuserete se quest’oggi mi prendo una licenza milanese: l’egalibertè di mandarlo a cagher.


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