A distanza di un anno dall’inizio della Primavera Araba, alcuni paesi come l’Egitto, la Tunisia e la Libia, cercano di fare progressi nonostante le difficoltà e i problemi evidenti ancora presenti nel territorio. L’Egitto fresco di elezioni democratiche del post-Mubarak dopo molti anni, ha visto la debole vittoria del candidato dei Fratelli Musulmani, Mohammed Morsi1, portando l’islamismo ai vertici del potere attraverso il voto. La Tunisia, a più di un anno dalla rivolta che ha portato al rovesciamento del regime di Ben Ali e la transizione in corso, rischia di ritrovarsi al punto di partenza poiché le sfide economico-sociali rimangono problemi cruciali del paese: come riporta una delle ultime relazioni del “International Crisis Group”2 i problemi economici, che furono alla base della mobilitazione che ha dato inizio alla rivolta tunisina, sono ancora presenti con un vistoso aumento della disoccupazione, del contrabbando e della corruzione, causati dal vuoto lasciato dalla politica. La Libia, invece, non naviga in acque diverse e anche se si vuol far credere il contrario, i problemi che sta incontrando il governo transitorio di Jibril nel post-Gheddafi sono notevoli. Il paese dopo aver svolto recentemente elezioni “democratiche” sta cercando di tornare alla normalità, cosa ancora ben difficile.
Nonostante la situazione non sia delle migliori, le varie nazioni cercano di trovare delle soluzioni per reagire alla crisi, e per questo Egitto, Tunisia e Libia hanno compiuto un ulteriore passo in avanti verso una cooperazione economica tra i tre paesi sempre più stretta aderendo alla nuova “Dichiarazione del Cairo”3 che prevede, tra le varie cose, l’abolizione dei visti d’ingresso dei paesi interessati tra i loro cittadini. Il presidente egiziano Mohammed Morsi ha ospitato il Ministro degli Esteri libico, Ben Ashour Khayal, e il suo omologo tunisino, Rafik Abdessalem, in un vertice nella capitale egiziana mirato ad approfondire i legami economici. Dopo i colloqui, Morsi ha fatto sapere che i visti d’ingresso potrebbero essere presto aboliti, ma dipenderà tutto dalla situazione di sicurezza nei tre i paesi, visto che quella attuale non può garantire il pieno funzionamento dell’accordo. I permessi andranno aboliti gradualmente, cercando di controllare ancora gli ingressi, visto le quantità d’immigrati pronte a spostarsi in cerca di lavoro e speranza o personaggi pronti ad approfittare dell’abbattimento delle frontiere per loschi traffici. L’ordine del giorno nella riunione del Cairo, com’era già successo durante il primo incontro a Tunisi, non si è limitato solo ai legami economici ma l’attenzione è stata concentrata soprattutto sul rafforzamento della collaborazione in materia di sicurezza, specialmente per quello che riguarda le frontiere, con l’obiettivo di combattere il terrorismo, il traffico di droga e l’immigrazione clandestina. Bisogna creare le condizioni e sviluppare l’economia lungo le frontiere di modo che anche gli agenti di frontiera possano beneficiare di determinate condizioni e non siano incentivati ad essere coinvolti nel contrabbando o in azioni illegali lungo i confini ma che agiscano contro i malviventi.
Al termine della discussione, i tre ministri degli esteri, Khayal, Abdessalem e quello egiziano Mohamed Amr, hanno annunciato un nuovo organismo di coordinamento per lavorare su relazioni tripartite ancora più strette e si è voluto sottolineare che non vi era alcuna intenzione di sostituire o competere con l’Unione del Maghreb, che comprende anche Algeria, Mauritania e Marocco. L’Egitto cosi si ritrova a capitanare una “mini-lega”, provando a rilanciarsi dopo gli avvenimenti che hanno scosso il paese e che hanno portato la gente per vari mesi in piazza Tahrir chiedendo “la testa” di Mubarak. L’Egitto sicuramente potrà giocare un ruolo davvero importante nel contesto regionale, e l’obiettivo del nuovo presidente è quello di espandere i legami con gli Stati vicini e restaurare l’influenza del Cairo sugli equilibri politici regionali: il rafforzamento e lo sviluppo delle relazioni con i paesi arabi della regione è la maggiore priorità per la politica egiziana provando a riguadagnare in questa nuova era la sua precedente posizione di influenza tra i paesi arabi.
La vittoria del candidato dei Fratelli Musulmani è un fatto singolare e sicuramente rivoluzionario accolto da molti paesi positivamente, anche se lascia dubbi e incertezze per il futuro riguardo le strategie che vorrà utilizzare l’Egitto per rivedere il nuovo assetto politico e il suo riposizionamento strategico4. Il debole successo di Morsi, con solo il 3 % dei voti sul rivale Shafiq, non gli consente di apportare cambiamenti considerevoli alla politica estera dello Stato con le proprie sole forze5. L’equilibrio finora precario del paese sarà davvero importante per lo sviluppo del paese ma non facile da conseguire, vista la quantità variopinta di gruppi come islamisti, copti, conservatori, liberali, nazionalisti, senza dimenticare l’esercito da sempre una delle istituzioni politiche più influenti del paese6. Sicuramente la politica estera egiziana cercherà di riportare investimenti stranieri, capitale che possa rialzare l’economia del paese ormai a terra da molto tempo e che ha visto un netto peggioramento negli ultimi anni. Ne sono la conferma la visita in Arabia Saudita7, l’ incontro con il nuovo presidente della Tunisia, Munsif al-Marzuqi, seguito poi da un altro meeting con il Segretario di Stato degli USA, Hillary Clinton8, e successivamente il passaggio nella capitale etiope, Addis Abeba9, per partecipare ad una riunione dell’Unione Africana.
In secondo luogo il rafforzamento e lo sviluppo delle relazioni con i vari paesi, in primis i paesi arabi, sarà la prerogativa principale per ridisegnare il nuovo futuro del paese e della zona10. Per quanto riguarda le relazioni con le grandi potenze come gli Stati Uniti, ci si aspetta che il Cairo mantenga gli stretti rapporti esistenti come per quanto riguarda la controversa questione della relazione con Israele11, dove probabilmente l’accordo di Camp David12 subirà un raffreddamento, con un rapporto che probabilmente con il passare del tempo non sarà più molto cordiale come gli anni passati. Interessante sarà lo sviluppo delle relazioni e il riavvicinamento tra l’Egitto e l’Iran13, che dopo molti anni di distacco vedranno dei cambiamenti. L’Egitto, consapevole dell’importanza e dell’influenza crescente dell’Iran nel Medio Oriente, e desideroso di formare interessi indipendenti da quelli statunitensi sembra deciso a mettere da parte dissapori passati per riportare ai massimi livelli la relazione con Tehran14.
Il ruolo che vuole ricoprire l’Egitto è quello di primo attore ed intermediario che ultimamente ha ricoperto la Turchia, con una notevole crescita sia nella politica interna che in quella estera proponendosi come mediatrice negli ultimi avvenimenti mediorientali, come la crisi siriana15. Probabilmente, anche se non nell’immediato, visto che la realtà turca è già presente mentre quella egiziana è tutta da costruire, l’Egitto entrerà in rotta di collisione con la Turchia nella corsa all’egemonia regionale, soprattutto per la politica a due facce sfoggiata ultimamente dal governo turco.
Nicolò Perazzo è dottore in filologia araba (Università di Granada, Spagna).