Magazine Diario personale

L'elefante.

Creato il 11 gennaio 2012 da Tazzina @tazzinadi


L'elefante.

Lui proviene da questo strano blog.

La nonna era nervosa, stretta nel suo cappotto nero, scomoda sul sedile anteriore, avvolta suo malgrado dalla cintura di sicurezza. Ai suoi tempi non si usavano le cinture e, per quanto la riguardava, nemmeno le automobili.
Il padre guidava con le mani strette sul volante, era giovane ma conduceva una vita da adulto, con ben due altre vite da portare a destinazione.
La bambina, dietro, guardava dal finestrino, contava le nuvole, perdeva il conto, socchiudeva gli occhi, infilava le manine nelle tasche del cappotto rosso.
La nebbia di gennaio, più avanti nel percorso, avvolgeva la 127 rossa. Le lenti degli occhiali del papà si appannavano, come i finestrini della macchina. Bisognava pulirli con le maniche del cappotto. Le nonna parlava, parlava, perdendo il filo del discorso. C'era molta strada ancora da fare prima dell'arrivo.
La città sfilava via grigia e umida, alle spalle della bambina. Il vento spostava i rami già spogli. Pezzi di ghiaccio e neve scivolavano giù dalle scocche delle auto in corsa.
La noia delle commissioni del sabato pomeriggio: la bambina costruiva un mondo immaginario.
Ma qualche volta la realtà è migliore. Un elefante.
Vero, grande, pieno di rughe e uno sguardo alieno si stagliava ora nel mezzo del vialone che portava con dolce indifferenza i torinesi verso la cintura.
Tra un appezzamento erboso e l'altro, l'animale camminava nel grigio del cemento, mimetizzato con quello stesso colore invernale e universale insieme. La bambina aveva spalancato gli occhi, balzando sul sedile.
Anche la nonna, placata nel suo argomentare, era rimasta finalmente senza neanche una parola. Il padre, colto da un immprovviso senso di responsabilità, aveva inchiodato il trabiccolo. La bambina, occhi negli occhi con l'elefante, il cuore alla massima velocità possibile, aveva pensato: "è immenso". E poi: "questo dovrei raccontarlo alla mamma", però, purtroppo, non esistevano ancora i telefonini.
Sarà stato il 1989, o forse prima. Comunque, una storia vera.
:)

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