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Le statistiche, nella loro amara crudeltà, rappresentano un’Italia in crisi, da dove -chi può- se ne va.
A restituire il quadro è l’Istat, nella tabella degli indicatori demografici. Ci racconta di un Paese dove:
-nel 2013 il saldo migratorio con l’estero è sceso a 182mila unità, avvicinandosi sempre più allo zero;
-il risultato è dato da un calo combinato dei flussi in arrivo (scesi a 307mila unità), e dall’aumento delle emigrazioni, cresciute a 126mila. Nota importante: queste cifre raggruppano sia cittadini italiani, sia cittadini stranieri. Insomma: non solo gli italiani, ma anche gli stranieri scappano;
-il calo del tasso migratorio è più netto e intenso nel Centro e nel Nord: le regioni-locomotiva del Paese stanno perdendo attrattività. E questi sono numeri, non opinioni;
-limitandosi alla sola emigrazione italiana, l’Istat quantifica in 82mila i connazionali che si sono trasferiti all’estero lo scorso anno. 14mila in meno, rispetto ai dati Aire che abbiamo reso noto quasi due mesi fa – ma questo fa parte dei misteri delle statistiche ufficiali italiane (Istat e Aire non riescono mai a fornire un dato che sia coincidente);
-conferma l’Istat: mète preferite dai connazionali per cercare fortuna all’estero sono Gran Bretagna (13mila espatri), seguita da Germania (11mila 600) e Svizzera (10mila). Fuori dall’Europa primeggiano Stati Uniti, Brasile, Argentina e Australia;
-sul fronte “Controesodo” l’Istat conferma il basso indice di ritorno degli italiani: solo 28mila l’anno scorso, persino in calo rispetto ai già esigui numeri degli anni precedenti. Si torna soprattutto da Germania, Svizzera e Gran Bretagna.
Numeri che fotografano un Paese che -al di là del momento contingente- si è infilato in un cul de sac, in una spirale discendente. Paradosso di un Paese che fu dinamico, fu creativo, potrebbe potenzialmente attrarre i migliori da tutto il mondo… ma giace steso nella palude che si è coltivato. Affossato dalla peggior classe dirigente che una nazione civile avesse mai potuto avere.
Numeri che fanno il paio con il Rapporto Bes di Istat/Cnel, che dipinge un’Italia in ginocchio: occupazione sotto il 60%, lavori sempre più precari, e giovani -la parte più vitale e innovativa della società- sempre più inattivi e sempre più depressi. Una “depressione generazionale” che attanaglia ormai anche i laureati, categoria che dovrebbe essere invece il turbo propulsivo del Paese.
Si parla tanto di riforme strutturali: sì, servono, subito, e senza guardare in faccia alcuna lobby o corporazione. Nessuna rendita di posizione, nessun potentato locale o nazionale. Time is out.
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