L' energia tra India e Iran

Creato il 22 febbraio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Malgrado l’India mantenga una solida relazione con i paesi arabi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), nonché con Stati Uniti e Israele, esiste un forte legame di tipo commerciale ed energetico con l’Iràn. In ogni caso, l’azione in politica estera di Nuova Delhi degli ultimi mesi, oltre a dimostrare il ruolo sempre più importante dei paesi del BRICS a livello globale, si collega al tentativo di mantenere una politica sostanzialmente equilibrata tra Iràn e Arabia Saudita. Il caso del voto indiano a favore della risoluzione sulla Siria al Consiglio di sicurezza dell’ONU dimostra la ricerca di una simile politica estera.

La relazione energetica e geopolitica tra India e Iràn e il ruolo sempre più importante dei BRICS

L’India è uno dei maggiori Stati importatori di idrocarburi. Nonostante la ricerca di fonti alternative sia aumentata negli ultimi decenni, petrolio e gas naturale rimangono le due risorse energetiche principali per l’economia dell’Unione Indiana.

L’approvigionamento di petrolio deriva in particolar modo dal Vicino Oriente; i primi esportatori di petrolio verso l’India nel 2011 sono stati Arabia Saudita, Iràn, Iraq, Nigeria ed Emirati Arabi Uniti. Circa il 12% circa delle importazioni di greggio provengono dall’Iràn, con un volume d’affari stimato in 12 miliardi di dollari; è evidente il fatto che Nuova Delhi, per evitare gravi squilibri economici, non possa interrompere al momento l’importante fonte energetica di derivazione iraniana. Anzi, secondo notizie delle ultime settimane, l’India potrebbe aumentare le proprie importazioni di petrolio da Tehran, un’eventualità che si collega alla futura deviazione verso oriente del flusso petrolifero indirizzato precedentemente in Europa. Non solo l’India, ma anche la Cina incrementerà le proprie importazioni petrolifere dall’Iràn, diventando il vero arbitro della contesa geopolitica tra Occidente e Tehran (L’embargo petrolifero UE all’Iràn: ora il perno è la Cina). Sia la Cina sia l’India potrebbero risultare le maggiori beneficiarie delle sanzioni europee, poiché il petrolio potrebbe essere acquistato a prezzi inferiori, rendendo l’Iràn maggiormente dipendente dai prodotti di consumo cinesi e indiani. Tutto ciò testimonia ancora una volta il sempre più importante ruolo economico dei due paesi emergenti a livello globale, ma in generale dello stesso BRICS, vista la politica contraria alle sanzioni adottata anche da Brasile, Russia e Sudafrica. Si tratta di un’ulteriore conferma del contemporaneo passaggio da un mondo unipolare a uno di tipo multipolare.

Nonostante l’impasse generato recentemente da discordanti valutazioni sui prezzi petroliferi, la NIOC, la compagnia petrolifera statale iraniana, ha raggiungo un accordo con la controparte cinese rappresentata dalla UNIPEC, al fine di aumentare le esportazioni di petrolio iraniano verso la Cina a 500.000 barili al giorno (bpd). Nell’ultimo anno il contratto tra NIOC e UNIPEC prevedeva l’esportazione di 220.000 bpd di petrolio. Inoltre, sono in corso accordi di scambio tra Cina e Iràn in modo tale da favorire un incremento della vendita di prodotti cinesi all’interno del mercato iraniano. In questo modo Pechino, oltre ad ignorare le sanzioni imposte da Washington, allo stesso tempo dimostra completa autonomia politica nei confronti del CCG per la questione del nucleare iraniano, malgrado i rapporti economici ed energetici con gli Stati arabi del Golfo siano in crescente consolidamento. Questo elemento d’autonomia verso il CCG è per ora assente invece nella politica estera indiana.

Pechino e Tehran stanno rafforzando le loro già solide relazioni, soprattutto in campo energetico, visto che è in essere un accordo per lo sviluppo del più grande giacimento petrolifero iraniano, Yadavaran. Inoltre, sono in discussione progetti per lo sfruttamento del petrolio presente nel Mar Caspio, il quale dovrebbe raggiungere l’Iràn, per poi successivamente, attraverso una condotta attraversante il Kazakistan, arrivare direttamente nello Xinjiang. Il commercio irano-cinese ha un volume d’affari intorno ai 30 miliardi di dollari, il quale potrebbe aumentare nel 2015 a 50 miliardi. Nel biennio 2010-11 il commercio indo-iraniano ammontava invece a 13,7 miliardi di dollari; l’esportazione di prodotti indiani favorivano un giro d’affari di 2,7 miliardi di dollari, ma le autorità di Nuova Delhi intendono aumentare la presenza di imprese indiane nel territorio iraniano, puntando su una strategia commerciale di medio-lungo periodo, nella quale Tehran assume un ruolo economico e geostrategico di primo livello.
Per quanto riguarda il settore energetico, negli ultimi due anni l’India ha cercato un sistema di pagamento per l’approvigionamento del petrolio iraniano, ostacolato dalle sanzioni imposte dal Consiglio di sicurezza dell’ONU del 2010 e nelle ultime settimane sotto pressione per l’embargo imposto da Stati Uniti e Unione Europea. Nuova Delhi fino al 2010 effettuava i pagamenti attraverso il sistema dell’Asian Clearing Union (ACU), un organismo collegato alle Nazioni Unite e fondato nel 1974 al fine di favorire gli scambi commerciali e i pagamenti tra paesi asiatici. Nel dicembre 2010, a causa delle pressioni del Dipartimento del Tesoro statunitense, il governo indiano interruppe i pagamenti verso l’Iràn mediante il sistema garantito dall’ACU, cercando delle alternative. In un primo momento da febbraio ad aprile 2011 le autorità indiane utilizzarono un complesso meccanismo mediante la Europaisch-Iranische Handels Bank (EIH) basata ad Amburgo, attraverso la Banca centrale tedesca e la State Bank of India; sistema successivamente interrotto per le nuove pressioni provenienti da Washington. Dal mese di aprile 2011 l’India ha quindi utilizzato un altro metodo di pagamento, ovvero con la banca turca Halkbank, ma, malgrado l’intenzione di Ankara sia volta al mantenimento di una linea indipendente nei confronti dell’Iràn, con cui condivide ancora importanti interessi di tipo commerciale, le pressioni occidentali verso la Turchia sono comunque evidenti.
Durante le ultime settimane, in modo da scavalcare le sanzioni petrolifere, è stato stabilito tra le autorità indiane e iraniane un nuovo meccanismo per l’acquisto del greggio, in base al quale il 45% dei pagamenti avverrà in rupie, mediante la banca indiana United Commercial Bank (UCO) basata a Kolkata e due banche private iraniane, Bank Persian e Karafarin Bank. Ciò che allarma Washington è senza dubbio l’utilizzo di valute locali per il commercio internazionale: i rapporti economici tra Cina e India avvengono già in yuan, così come il commercio russo-cinese e sino-giapponese avviene con monete locali. Allo stesso tempo Mosca e Tehran potrebbero regolare i propri affari in riyal e rublo, così come il commercio sino-iraniano dovrebbe avvenire in riyal e yuan. India, Cina e Russia, i maggiori partner economici dell’Iràn, sono anche i maggiori possessori e produttori di oro. Per il restante 55% dei pagamenti indiani si è parlato dell’eventualità di utilizzare proprio l’oro, ma le trattative sono ancora in corso. I due governi stanno cercando una forma di pagamento collegata al possibile aumento delle esportazioni indiane verso l’Iràn, in cambio di un incremento delle importazioni di Nuova Delhi di petrolio iraniano. Tehran è interessata a ferro, acciaio, macchinari e attrezzature, oltre a riso e minerali. Per il momento, nel mese di gennaio l’India ha aumentato le sue importazioni di petrolio dall’Iràn del 37.5%. Allo stesso tempo l’India è interessata ad incrementare i propri investimenti in Iràn ed è in programma per la fine del mese di febbraio la visita di una delegazione d’imprenditori, sponsorizzati dal Ministero del Commercio. Gli interessi indiani sono collegati al settore energetico, al potenziamento degli impianti di gas liquefatto e delle attività estrattive, nonché all’ammodernamento e sviluppo dei giacimenti petroliferi e di gas naturale, così come favorire gli investimenti per la costruzione di strade e infrastutture. A proposito di gas naturale, India e Iràn hanno già accordi, temporaneamente bloccati, per la costruzione della condotta di gas naturale IPI (Iran-Pakistan-India), estendibile potenzialmente alla Cina. L’esportazione di gas naturale liquefatto via mare è invece già attiva, con 5 milioni di tonnellate all’anno di GNL destinate all’India.

Gruppi industriali indiani hanno già effettuato negli ultimi decenni importanti investimenti nel paese iraniano, favorendo il potenziamente del porto di Chabahar sul Mar Arabico, nonché la costruzione di strade di collegamento tra la stessa città e il confine con l’Afghanistan, un paese dove gli interessi economici dell’India sono molto forti. La posizione geografica dell’Iràn è fondamentale per gli interessi indiani in Asia Occidentale e Centrale e il corridoio stradale orientale iraniano ha le potenzialità per favorire l’approccio indiano al futuro di Afghanistan e Asia Centrale. Costruita dall’India nel settembre 2008, la strada collega il porto di Chabahar sul Mar Arabico alla città di Milak sul confine afghano, attraversando le province del Sistan-Belucistan e del Khorasan. Da qui si collega con l’autostrada Zaranj-Delaram nella provincia di Nimruz dell’Afghanistan occidentale, un altro collegamento viario finanziato dall’India, il quale successivamente si collega alla circonvallazione afghana. Nuova Delhi, Tehran e Kabul hanno accordi in essere per la costruzione di una linea ferroviaria lungo l’intero asse viario per facilitare il commercio tra i tre paesi; l’interesse indiano è soprattutto rivolto alle ingenti quantità di minerali presenti in territorio afghano, ma un ulteriore obiettivo è collegato al depotenziamento del monopolio stradale pakistano per raggiungere Kabul. E’ evidente che un ritorno politico dei talebani gioca a sfavore di Nuova Delhi e Tehran. India e Iràn hanno una visione molto simile della situazione afghana ed hanno sempre valutato negativamente la presenza talebana nel paese, essendo negli anni ’90 i principali supporti, assieme alla Russia, dell’Alleanza del Nord. L’India è preoccupata per le possibili rispercussioni ai suoi interessi a Kabul, mentre l’Iràn potrebbe subire conseguenze negative per i propri accordi in essere con il governo Karzai. D’altra parte, Tehran spera d’incrementare le esportazioni di gas naturale e petrolio verso Kabul una volta che la situazione afghana sarà stabilizzata.

Oltre a condividere dunque una simile politica per il futuro afghano, l’Iràn potrebbe aiutare la penetrazione indiana in Asia Centrale: a questo proposito, il consolidato legame esistente tra India e Tagikistan, paese in cui si parla una variante del persiano, è stato spesso considerato come una relazione “facilitata” dal contemporaneo solido rapporto indo-iraniano. India e Iràn potrebbero favorire, inoltre, in Asia Centrale la concreta messa in atto del progettato Corridoio di Trasporto Nord-Sud, siglato nel 2001 assieme a un altro paese del BRICS, la Russia, un accordo commerciale a cui potrebbe partecipare anche la Cina.

Sebbene l’India abbia pubblicamente dimostrato la propria contrarietà a un eventuale Stato iraniano dotato di arma atomica, appoggiando le sanzioni in ambito ONU, Nuova Delhi non condivide la visione statunitense dell’Iràn come potenza regionale aggressiva. Tutto ciò non è dovuto solamente a motivi commerciali ed energetici, ma anche ai tradizionali e storici rapporti culturali tra la civilità persiana e quella indiana. Nel caso delle sanzioni petrolifere sponsorizzate da Washington, l’India ha messo in luce la propria volontà di autonomia energetica, mantenendo le proprie relazioni commerciali con l’Iràn. Il legame indo-iraniano protebbero comunque favorire una soluzione negoziata della questione nucleare con i paesi occidentali; l’Unione Europea ha recentemente richiesto una maggiore azione diplomatica indiana affinché favorisca il dialogo tra Tehran e Occidente (EU asks India to help bring Iran to nuclear talks). Un’ulteriore dimostrazione del crescente peso dell’India, ma in generale del BRICS in ambito internazionale.

I motivi geopolitici della politica indiana verso la questione siriana

Malgrado il ruolo dei BRICS sia senza dubbio sempre più forte, persistono alcune incertezze nel panorama internazionale. La politica indiana a proposito della questione siriana rappresenta un caso emblematico, dal momento che Nuova Delhi ha scelto una strategia apparentemente opposta a quella di Mosca e Pechino in ambito ONU.

A partire dalla fine della Guerra Fredda i rapporti tra Stati Uniti e India sono costantemente migliorati, come testimoniato dall’accordo indo-statunitense del 2005 sul nucleare civile, malgrado la mancata sottoscrizione da parte di Nuova Delhi del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP). Allo stesso tempo però i legami militari, commerciali ed energetici tra Washington e Nuova Delhi sono, secondo l’ottica statunitense, fortemente limitati dalle positive relazioni indo-iraniane. Nelle ultime settimane diversi analisti internazionali hanno posto la propria attenzione su una potenziale revisione dell’alleanza indo-statunitense in nome degli interessi prioritari di Washington in Asia Occidentale, nel caso in cui l’India continui a mantenere un proficuo rapporto commerciale con Tehran (To Confront Iran, Will the U.S. Risk Relations with India?; Weaning India Off Iran). In alcuni frangenti la politica estera statunitense in Asia Occidentale si è distanziata dall’approccio indiano. In ogni caso, l’accordo sul nucleare civile e l’appoggio statunitense affinché Nuova Delhi faccia parte del Nuclear Suppliers Group (NSG) potrebbero mettere in difficoltà l’India nel suo tentativo di mantenere una politica estera autonoma, malgrado Nuova Delhi possa contare anche sull’appoggio russo nella propria politica nucleare.

Questa strategia di sostanziale equilibrio tra diversi poteri è evidente dall’atteggiamento assunto dall’India nel caso della Siria. Il recente attentato a Nuova Delhi contro il rappresentante diplomatico israeliano, oltre a mostrare alcune evidenti falle nel sistema di sicurezza indiano, evidenzia le continue pressioni esercitate sull’India da attori esterni. Il governo indiano non ha ancora fatto chiarezza sull’episodio, mentre rimbalzano da una parte all’altra le accuse e contro-accuse tra Israele e Iràn. Il caso del voto indiano durante l’ultima seduta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dedicata alla questione siriana, s’inserisce nel delicato contemporaneo contesto geopolitico del Vicino Oriente, dimostrando come l’India non abbia adottato una politica estera totalmente slegata dagli interessi statunitensi, isrealiani e del CCG. Dimostra anche come il BRICS sia un blocco economico in ascesa e dalle evidenti potenzialità, ma non un polo geopolitico contrapposto al sistema occidentale. India e Sudafrica hanno votato a favore della risoluzione, mentre Cina e Russia hanno posto il veto. L’astensione era probabilmente il voto che ci si sarebbe aspettati dall’India, vista la sua tradizionale politica all’interno dell’ONU, ma la sua scelta, praticamente opposta a Mosca e Pechino, ha delle motivazioni geopolitiche ben precise.

In questo frangente, più che i rapporti con Stati Uniti e Israele, sono pesati maggiormente i solidi legami con i paesi arabi del Golfo, in particolare con l’Arabia Saudita. Anche la Cina ha un legame economico molto stretto con i paesi del Golfo (China weighs ‘right side of history’ in Gulf), in particolare con Riyad, di cui è il principale importatore di petrolio; Pechino è interessata, inoltre, a rafforzare i rapporti energetici soprattutto con Qatar ed Emirati Arabi Uniti. La Cina, vista la sua ascesa economica e il suo peso in ambito globale, è in grado di votare in sede ONU contrariamente agli interessi dei paesi del CCG. Le autorità cinesi sostengono il programma di riforme di Assad, soprattutto il referendum costituzionale, ma allo stesso tempo dialogano con le forze d’opposizione ostili a un intervento armato esterno (China urges Syrian gov’t, political parties to end violence: vice FM). Per quanto riguarda la Russia, invece, gli interessi in Siria sono troppo importanti per essere sacrificati e conta la vicinanza della regione al Caucaso russo.
L’India cerca una soluzione diplomatica alla questione siriana, ma contano maggiormente i solidi rapporti con l’Arabia Saudita. Unitamente all’approvigionamento energetico (Riyad è il maggiore fornitore di petrolio), pesa la numerosa presenza di migranti indiani nei paesi arabi sunniti, circa 6 milioni di persone che garantiscono delle rimesse annuali verso l’India di circa 40 miliardi di dollari. Sono fondamentali anche gli investimenti sauditi in costante crescita in India, così come gli interessi indiani in Arabia Saudita legati allo sfruttamento del petrolio. Inoltre, l’India è il terzo paese al mondo con la maggior presenza di abitanti islamici e Riyad ha mantenuto sempre una politica molto attenta alle vicende legate al Kashmir, finanziando nel passato i gruppi pakistani e kashmiri operanti lungo il confine; la maggioranza degli indiani musulmani sono sunniti e allo stesso tempo l’Arabia Saudita mantiene solidi contatti con gli ulema indiani, il cui ruolo è fondamentale soprattutto nel contemporaneo periodo di elezioni legislative in alcuni Stati settentrionali dell’India. E’ da citare il caso delle consultazioni nell’Uttar Pradesh, lo Stato più popoloso dell’India in grado di garantire 80 dei 340 seggi dell’intero Parlamento nazionale e dove il 18% della popolazione è musulmana; ma dove coesistono alcune delle maggiori problematiche contemporanee dell’India, come la conflittualità interreligiosa, le richieste dei fuori casta, l’autonomismo regionale e la sovrappopolazione.

Il voto indiano al Consiglio di sicurezza dell’ONU sulla questione siriana è dunque da inquadrare in un determinato contesto geopolitico, dove, unitamente ai legami con Stati Uniti, Israele e CCG, ai quali l’India non vuole fare a meno, convivono questioni fondamentali della politica interna indiana, nonché problematiche sociali, economiche e religiose. Nuova Delhi intende mantenere un proficuo rapporto anche con l’Iràn, ma evidentemente si tratta di un dilemma geopolitico di non facile soluzione. Nella questione siriana, l’India ha scelto una politica maggiormente legata ad Arabia Saudita e Qatar; la recente visita del ministro della difesa A. K. Antony a Riyad, pochi giorni dopo il voto all’ONU, dimostra come l’India abbia l’obiettivo di rafforzare anche i legami con l’Arabia Saudita. Sono infatti in corso trattative tra i due paesi al fine di aumentare la cooperazione nella difesa militare, così come sono previste esercitazioni comuni (Joint team to prepare road map for Saudi-India defense cooperation). L’Arabia Saudita ha offerto anche un aumento delle esportazioni di petrolio verso l’India, fattore che si unisce alle pressioni su Nuova Delhi da parte degli Stati Uniti affinché interrompa i suoi approvigionamenti di petrolio dall’Iràn. A questo proposito si è parlato dell’alternativa del petrolio libico nel momento in cui la situazione a Tripoli si sarà stabilizzata.

Esistono comunque motivi di contrasto tra India e CCG, come ad esempio la differente percezione della possibile riconciliazione con i talebani. Inoltre, i rapporti indo-sauditi sono sicuramente limitati dallo stretto legame tra Islamabad e Riyad, così come dall’aumentare negli ultimi anni del radicalismo religioso in India, sia induista sia musulmano, quest’ultimo strettamente connesso ai finanziamenti provenienti dai paesi arabi sunniti.

In ogni caso, malgrado alcuni limiti dell’India per la propria autonomia in Asia Occidentale, il caso dei pagamenti dei petrolio iraniano dimostrano come Nuova Delhi abbia le capacità, anche economiche, di mantenere una strategia differente da Stati Uniti e Unione Europa. Allo stesso tempo, anche il maggior interesse di Arabia Saudita, Qatar e restanti paesi del CCG nel favorire dei rapporti maggiormente proficui con Cina e India, può essere letto come un tentativo di cercare una politica estera non totalmente connessa ai soli interessi statunitensi. Questa può essere un’ulteriore dimostrazione del ruolo economico sempre più forte non solo di India e Cina, ma in generale del BRICS.
Nei prossimi mesi, per quanto riguarda il singolo caso indiano, sarà necessario comprendere se Nuova Delhi adotterà una strategia maggiormente legata all’Iràn o all’Arabia Saudita, oppure manterrà l’attuale politica bilanciata tra le due parti nel delicato contesto del Golfo Persico. Nel caso in cui l’India si leghi strettamente a Washington nella propria politica estera in Asia, il paese rischia di trasformarsi in una potenza di second’ordine nell’ambito dell’architettura strategica statunitense, ponendo evidenti limiti alla propria autonomia e alle proprie ambizioni da superpotenza. Appare comunque un’eventualità improbabile. Un fattore fondamentale potrà essere invece il consolidamento dell’azione comune da parte dei BRICS, soprattutto a livello economico.


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