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Più la trama è scarna, e più mi sembra che tra le pieghe delle immagini possano nascondersi delle belle sorprese. Questa regola a volte non funziona, ma trovo che valga sempre la pena di provarci. Quando si guarda questo tipo di film bisogna fare uno sforzo in più rispetto a quelli soliti. Bisogna cercare di lasciar perdere quel bisogno atavico che si ha di vedere dell'azione quando si sta davanti ad uno schermo, bisogna smettere di pensare che sì, sì, adesso succede qualcosa, adesso la trama ha senz'altro un'accellerazione. Ecco, se si entra in quel meccanismo, di solito si finisce con l'irritarsi e rimanere delusi. Se invece si decide di fare un passo indietro e di dare la possibilità al film di andare dove vuole e di farsi semplicemente trascinare dalla corrente, allora succede che si viene ricompensati. Purtroppo, a volte, il rischio di questo tipo di cinema è che sia un mero esercizio estetico fine a se stesso, l'ennesima pippa mentale della quale avremmo fatto volentieri a meno.
Ieri sera ho visto un film in cui non accadeva molto, ma quel poco che accadeva mi piaceva tantissimo e mi è rimasto appicciato addosso come una seconda pelle. Si tratta del film svizzero-francese L'Enfant d'en haut, di Ursula Meier, vincitore del Leone d'Argento all'ultimo Festival di Berlino.
I protagonisti del film sono Simon, 12 anni, e sua sorella Louise, poco più che ventenne. Abbandonati a loro stessi (dei genitori non si fa cenno, anche se Simon racconta che sono morti in un incidente d'auto... ma come stanno veramente le cose?), vivono in un brutto appartamento di un brutto stabile di un brutto posto. Un posto non meglio specificato che sta ai piedi di una montagna dove la gente d'inverno si affolla per sciare. Louise non ha un lavoro stabile e ha la tendenza a perderlo piuttosto di frequente. Simon, che sembra non andare a scuola, passa il tempo a rubacchiare paia di sci, caschi, occhiali e altri oggetti, che poi rivende qua e là. E' con questi soldi che i fratelli, in realtà, riescono a sopravvivere. Le cose vanno avanti in maniera disordinata e vagamente insensata, sino a quando la fine della stagione sciistica mette in evidenza la durezza della loro esistenza.
Non ho visto, e ora me ne pento, il primo film della Meier, Home, ma pare che la regista privilegi, per raccontare le sue storie, dei non-luoghi tipici del mondo contemporaneo: in Home una casa sperduta sul ciglio di un'autostrada, e qui un palazzo ai piedi una montagna incombente. In molti hanno scomodato riferimenti ai Fratelli Dardenne, per questo film, e non mi stupisce affatto che sia piaciuto moltissimo ad un regista come Mike Leigh (che era, guarda caso, il presidente della giuria del Festival di Berlino).
Tutti loro, sono registi che amano occuparsi di personaggi che la maggior parte delle persone non vorrebbero avere vicino nella loro vita di ogni giorno, figuriamoci trovarseli su uno schermo: gli emarginati, i senza niente, gli sbandati, i non-amati.
L'Enfant d'en haut è un film angosciante e cupo, attraversato però da una vitalità incontrollata, e dove tutta l'insensatezza della vita moderna è racchiusa nella distanza tra gli impianti di discesa e risalita. Personalmente, a questo film perdono anche i suoi difetti più evidenti perché trovo Simon un personaggio assolutamente irresistibile. E' talmente disarmante con quel suo modo di fare un po' spaccone e sicuro di sé che nasconde in realtà una mancanza d'amore, un bisogno d'affetto, e un luogo sicuro che lo protegga, da renderlo adorabile. Un piccolo Antoine Doinel dell'era moderna, cresciuto troppo in fretta e già troppo solitario e ferito. L'attore che lo interpreta, Kacey Mottet Klein, è veramente incredibile. Lo avevo già apprezzato nella parte di Serge Gainsbourg da piccolo nel film di Sfarr sulla vita del cantante, e pare che avesse già una parte in Home, ma in questo film, non c'è nulla da fare, spacca!
Léa Seydoux nella parte di Louise è semplicemente perfetta, una giovane attrice che ha smesso di essere una promessa per passare a giusto titolo nella ristretta cerchia delle più brave attrici francesi in circolazione. E fa piacere trovare, in ruoli piccoli ma importanti, attori come Gillian Anderson (quella di X-Files, per intenderci), Jean-François Stévenin, storico attore francese, e lo scozzese Martin Compston, volto familiare nei film di Ken Loach.
Uscendo dal cinema, non so spiegarvi bene perché, ero abbastanza fiera del fatto di non saper sciare.
Mi sa che all'alto, alla fine, io preferisco il basso.
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