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L’enigma Giovanna (seconda e ultima parte)

Creato il 16 novembre 2011 da Paolo Franchini

L’enigma Giovanna (seconda e ultima parte)Leila Mascano in esclusiva per VareseNoir

Il secondo enigma è se sia stata Giovanna, in un raptus di gelosia, ad avvelenare o fare avvelenare l’amatissimo Filippo, oppure i suoi genitori, che ormai trovavo scomodissimo quel genero poco docile e che avanzava consistenti pretese. L’unica cosa certa è che il giovane morì avvelenato, tra atroci dolori.

Si dissero tante cose… Ma certo a questo punto anche anime ben più temprate della giovane donna avrebbero vacillato. Realtà o leggenda che Giovanna credesse che il suo sposo sarebbe tornato a vivere se per sette anni lei avesse pietrificato il suo cuore verso ogni umano sentimento? Realtà o leggenda che avesse fatto mettere nel petto del defunto marito il meccanismo d’un orologio, a imitare il battito del cuore? Che dedicasse al culto di quel corpo imbalsamato ogni istante del suo tempo? Che parlasse con lui nelle lunghe ore in cui gli restava accanto?

Inorridita all’idea di far tumulare la salma, secondo lei in attesa di resurrezione, dichiarò di volerla trasportare con un seguito nella sua patria, nel Duomo di Santo Stefano.

Iniziò così un lugubre, spaventoso pellegrinaggio, che vide vagabondare per l’Europa questo strano corteo, questo vagare che come la tela di Penelope non giungeva a compirsi mai, destando lo spavento in coloro che vedevano avvicinarsi il corteo funebre, e nei suoi stessi componenti, decimati dalle malattie, dai disagi, dal freddo o in preda ad un terrore superstizioso, finché una notte, durante una tempesta di neve, il carro che portava Filippo precipitò in un burrone. Giovanna, semi-assiderata, fu trovata vagare smarrita nella neve, i superstiti soccorsi, e il povero Filippo finalmente tornò a Burgos, nella pace della chiesa di Sant’Andrea.

Non più sposa, non più madre, giacché i bambini nati da quel matrimonio le erano stati tolti con il beneplacito di Filippo, né più aveva avuto modo di vederli se non in contatti fuggevoli, davanti a Giovanna si spalancava una prigionia che sarebbe durata mezzo secolo. Ebbe carcerieri che furono aguzzini, conobbe la tortura della corda in più di una occasione; divenne regina di Spagna, e in suo nome vennero firmati decreti e leggi di stato, ma ormai era un fantasma, nei fatti governava sulle ombre, e forse c’è da augurarsi che, finalmente e davvero, le ombre che l’avevano sfiorata un tempo ormai l’avessero ottenebrata per sempre.

Il bambino che le era stato sottratto destandole più degli altri un dolore vivo, crudele come quello d’una gatta,era diventato uno dei signori della terra: quel Carlo V che poi, passato da disinganno in disinganno, finì per ritirarsi in una residenza solitaria, accanto a un monastero. Non si concedeva ormai che qualche peccato di gola, che poté su di lui più di un colpo di spada, uccidendolo.

In un certo senso, attraverso tante guerre e lotte sanguinose, anche lui, come sua madre, alla fine non aveva cercato che l’oblio.

Di Giovanna non resta che qualche ritratto giovanile, che ritrae una donna bruna, dal volto aristocratico e sottile, la fronte bombata, le labbra tumide, i capelli nascosti da una cuffia, gli occhi rivolti verso un misterioso altrove, chiusa nella sua solitudine: l’enigma Giovanna.

Fine (la prima parte è stata pubblicata da “VareseNoir” lo scorso 9 novembre).

Per contattare Leila Mascano: [email protected]


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